La terza e ultima giornata a Seoul, prima di lunedì prossimo giorno di partenza, ma sarà direttamente Icheon in quel caso, inizia presto; infatti per le otto e mezzo siamo tutti pronti giù per la cerimonia del Chuseok, ovvero le “idi di Agosto”, qualcosa che ha a che fare con l’ultima luna piena dell’estate, i raccolti, e queste cose su cui non sono ferrato per l’Europa, figuriamoci per l’Asia. Nel salotto c’è un tavolino basso, imbandito con tante ciotoline piene di cibo, pesce, frittatine, tofu (anzi tubu, ma è la stessa cosa), verdure varie, spiedini di carne, riso, brodo, e due candele ai lati, davanti un tavolino più piccolo e più basso, su cui c’è un piccolo braciere con dell’incenso, un bicchierino in legno su un palchetto e una bottiglia di una specie di vino o liquore penso di riso, ma non so. Dietro c’è uno di quei paravento cinesi con delle scritte immagino propiziatorie, in cinese perché il coreano è un alfabeto che è stato inventato “recentemente” (nel XIV secolo mi pare) e quindi per le cerimonie tradizionali si usano i caratteri cinesi. In realtà tutti gli alfabeti di questa zona del mondo derivano dal cinese, e ci si può risalire (o meglio loro riescono a farlo). La cerimonia serve, mi hanno spiegato prima, per richiamare gli spiriti degli antenati e prendere “la loro fortuna”. Per questo non ci sono frutti rossi né (stranamente) il chimci, ovvero quella loro verdura intinta nel piccante, una specie di verza fermentata, che mangiano sempre, ma che è rossa, e quindi spaventerebbe gli spiriti, che invece devono venire. Inizia quindi la cerimonia, che è semplice e breve, fatta dai due uomini di casa, ovvero Ki e il fratello maggiore. In pratica si inginocchiano un po’ di volte, poi mettono il liquore nel bicchierino, lo girano intorno all’incenso, poi si ri-inginocchiano, ancora muovono il bicchierino verso il riso o il brodo, mentre io, la cognata di Ki e il cane stiamo a guardare (anzi il cane ogni tanto abbaia, forse a lui questi spiriti fanno un po’ paura... ). Dopo un po’ è finito e si mangia quello che c’è in tavola ... e non sono manco le nove! Si fa anche una specie di piatto fatto con il riso offerto in cui si mescolano le varie verdure. Dicono che così mangiando vicino agli antenati si chiede loro che trasmettano la loro buona sorte (mi domando, ma se gli antenati sono stati sfigati? ma vabbé sono sempre quel miscredente che sapete ...). Ovviamente a questa “colazione” che è un pranzo in pratica, loro aggiungono il chimci (io no, di prima mattina poi!) e gradatamente si levano le offerte e si va verso qualcosa per me di più mattiniero ... tipo un caffè! A quel punto il padrone di casa accende la TV, ora è veramente finita la parte tradizionale, possono tornare nel XXI secolo (e pure oltre). In televisione c’è già il solito “reality”, anzi di quelle trasmissioni in cui si votano le performances di personaggi famosi che sembrano appassionarli molto, insomma tutto il mondo è paese.
Ci si riposa un po’ perché a pranzo si va al ristorante ... a mezzogiorno, che qui è ora di mangiare ... è pur sempre il “thanksgiving” coreano, e se penso a quanto abbiamo mangiato (e bevuto) a Minneapolis l’anno scorso, con la differenza che era sera non primo mattino. Comunque per andare al ristorante si prende la macchina, guida la signora, il tutto per fare meno di cinque minuti e lasciarla al “valet parking” di un grande albergo. Un ristorante in stile occidentale (i tavoli sono apparecchiati con forchette e coltello!) dove prima c’è un buffet freddo misto europeo/asiatico, pieno di cose buone e fresche, poi addirittura il “pasta menu”. Mi tocca provare gli spaghetti italiani a Seoul ... scelgo ai frutti di mare, forse pensando al pranzo di ieri, e anche ricordandomi che comunque loro usano i frutti di mare spesso nei piatti coreani quindi non devono essere troppo cattivi, ma come al solito la cosa da temere di più è la cottura degli spaghetti. Invece sono al dente, e il sugo è una versione coreana (ovvero rosso, al pomodoro e un po’ di piccante), ma buono, molto meglio di quanto non si possa trovare in giro per l’Europa nei ristoranti italiani tante volte. Il caffè invece purtroppo è una ciofeca, ma non si può volere tutto.
Finito di mangiare il piano sarebbe di prendere gli zaini e avviarci verso la stazione dei bus per tornare alla KNUE. Invece la signora ci suggerisce di vedere qualche altra attrazione prima di partire e ritornare verso la nostra “zona rurale”, è pur sempre la mia prima volta a Seoul e chissà quando ci ritornerò mai. Così ci accompagna in un museo che hanno costruito da poco in una zona dismessa della base militare americana, e quindi passiamo vicino a quella che è ancora la caserma dell’esercito USA in Corea del Sud, la Corea del Nord infatti non è tanto lontano da qui, e di là ci potrebbe essere ancora qualcuno così pazzo da lanciare qualche razzo se non ci fossero gli americani (al che sarebbe uno scenario che non voglio neanche immaginare). In questa zona non più utilizzata hanno costruito un enorme complesso immerso nel verde che ospita il museo nazionale della Corea. In un edificio di tre piani possiamo prima fare un giro nella storia della Corea, dalla preistoria fino al dominio giapponese dei primi del novecento, tra i vari regni separati, poi uniti, poi riseparati, in una visione “coreacentrica”, infatti, per esempio, uno di questi regni si estende soprattutto in quella che è attualmente la Cina, e che per i coreani è un regno coreano, cosa che i cinesi non ammetterebbero mai. Insomma è un continuo qui di recriminazioni storiche e territoriali, per non parlare dell’astio profondo che provano contro i giapponesi. A differenza dell’Europa, questi asti e nazionalismo sono ancora molto vivi, ma certo è abbastanza grottesco che ognuno abbia una differente “storia” di cose accadute ai tempi dell’impero romano o giù di lì ... Per questo dalla nostra parte è piuttosto facile, prima c’era la civiltà poi sono arrivati i barbari!
Al secondo piano c’è una esposizione di calligrafie e dipinti, quelli orientali insomma piuttosto delle illustrazioni. Ma la cosa più spettacolare sono sicuramente gli enormi Budda del terzo piano. Così finalmente comprendo la differenza tra Budda e quell’altra posizione nella scala dell’illuminazione, i buddatayara (o qualcosa del genere), che sarebbero un gradino sotto (questi ultimi hanno ancora gioielli e corone mentre chi è illuminato non ha più di queste cose), ma soprattutto perché ci sono dei Budda con un nome davanti. Mi spiega che si riferisce ai vari Budda, e che solo l’ultimo pare sia veramente un personaggio storico mentre gli altri sono piuttosto delle leggende. E che poi il buddismo espandendosi dall’India (mi fa notare come abbiano tutti tratti indiani e non cinesi o coreani) non ha rimosso le altre religioni tradizionali, per questo la cerimonia di stamattina (che noi chiameremmo semplicemente pagana) non è in contraddizione con il buddismo (mentre per esempio il professore “cristiano” non la fa, eppure la nostra festa dei morti o dei santi, che lui stesso ha utilizzato una volta a pranzo per spiegarmi di cosa si trattava la festa di oggi, non è che sia molto diversa!). Finito il museo torniamo a casa, e decidiamo, per fare prima, di prendere il treno, il famoso Tgv coreano, qui chiamato KTX. E’ un Tgv, una produzione congiunta franco-coreana mi pare, solo molto più lungo e ad un piano solo. Mi pare pure vada un po’ più lentamente, ma è pur vero che deve passare spesso per delle stazioni, pur senza fermarsi fino a qui, inevitabile visto che la Corea è molto più densamente popolata della Francia.
Arriviamo e Ki si fa venire a prendere dalla laureanda che ci accompagna al campus. Domani è ancora festa ma l’Università e aperta, almeno spero così potrò mettere online queste poche righe.
Ora mi “godo” un po’ di TV coreana, speriamo cantino che per il resto è abbastanza incomprensibile ...
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