E’ finito il primo lungo giorno in Corea. Lungo perché è iniziato molto presto. Ieri notte infatti dopo essermi addormentato stanco dal viaggio ho subito i tipici colpi del fuso orario. Mi sono svegliato una prima volta a mezzanotte, ma ero abbastanza stanco per riaddormentarmi. Seconda sveglia, più importante, verso le tre, tre e mezza (sempre del mattino). Ma questa era una vera apertura di occhi, mi sono alzato, acceso la luce, aperto il condizionatore (c’era parecchio caldo, afoso direi), messo un po’ al computer a lavorare. Dopo un paio d’ore passate così per fortuna mi sono rimesso a letto a leggere che si è tramutato in sonno praticamente all’albeggiare. Ho avuto fortuna, perché l’ultima volta che sono partito da casa viaggiando verso est è stato quando sono andato a Sydney, e lì i primi giorni apertura degli occhi in piena notte (l’una, le due, le tre del mattino) e nulla fino alla sera dopo (o meglio pomeriggio ma gli impegni congressuali mi impedivano di crollare dopo pranzo). Ma è sempre meglio non fidarsi troppo, devo ancora passare la seconda notte, domani potremo essere più sicuri. Quindi riaddormentatomi verso l’alba mi sveglio in mattinata non prestissima tant’è che quando sono arrivato al dipartimento quasi si stavano preoccupando mi fossi perso! Dopo il caffè dell’Università (non dissimile a quelli che si possono bere in Francia, Germania o Stati Uniti), incontro tutti gli studenti del gruppo di Ki (il professore che mi ospita) e presto si fa l’ora di pranzo. Evidentemente queste cronache, se così le possiamo chiamare, stanno eccedendo nelle descrizioni culinarie, ma tant’è. Mi portano a mangiare in un posto tipicamente coreano, pieno di gente, alcuni seduti ai tavolini altri praticamente per terra in una zona dove si va senza scarpe e si mangia quasi accosciati. Come nell’iconografia orientale è possibile vedere persone mangiare sedute per terra ad un tavolino bassissimo, gli uomini in genere tenendo una gamba piegata a fare da perno, le donne più in quelle posizioni che sembrano impossibili da mantenere, le caviglie unite e le ginocchia piegate, appoggiate sul sedere. Mangiamo tutti e tre la stessa cosa, uno zuppone con verdure, noodles e interiora di carne di porco. Una cosa leggera, buona ma pesantina per pranzo. Riesco però abilmente a lasciarne un po’, sfruttando la zuppa che maschera i pezzoni che ho lasciato. Non che non fosse buona, però insomma assaggiarla sì, tutta quella quantità magari è meglio evitarla. Il tutto condito con una specie di semi di sesamo (in realtà semi di un’altra pianta, non ho capito quale) e dei micro-gamberetti. Acqua per fortuna. Dopo andiamo a prendere il “dessert” in un altro posto, una cosa buona e fresca, forse un po’ troppa ma ne lasciamo un po’, a base di cocomero, gelato, ghiaccio, ananas banane e altri frutti orientali. Buono, fresco e leggero, sarebbe quasi potuto bastare da solo, magari riesco una volta a mangiare solo questo e gustarmelo di più, anche se andare da solo nei locali è dura, visto che il coreano né lo parlo né lo leggo.
Pomeriggio caffè e poi visita al dipartimento di chimica. E’ bellissimo che dove mi porta tutti profondono inchini e gli studenti poi si vergognano perché ovviamente non potendo io parlare coreano sanno che devono parlare inglese e non si sentono all’altezza, tranne qualche eccezione. L’ho già detto di questo forte rispetto e sentimento delle gerarchia, ma oggi girando per il dipartimento si poteva toccare per mano: quando vedevano Ki, professore del dipartimento, gli studenti in gruppo si inchinavano al passaggio formando quasi un’onda. Il dipartimento non è molto grande, è mescolato a quello di fisica, biologia e un altro che non ricordo sempre della facoltà di scienze, e molti si occupano di didattica, infatti l’università dove sto è stata costituita nel 1984 proprio per formare insegnanti.
Dopo questo giro torno nel laboratorio del gruppo di Ki, che come tutti i laboratori di teorici è costituito da qualche scrivania e parecchi computer, e finiamo di parlare delle cose da fare, mi spiega cosa fanno i suoi studenti, solite cose che si fanno nelle università, insomma. Poi lui va a lezione, dalle cinque alle dieci, di sera sì. Anche se alle sette si ferma e lascia all’assistente gli esercizi. Noi andiamo quindi a mangiare. Raggiungiamo un gruppo di faculty che ogni martedì e giovedì si riuniscono in un ristorante tipo-occidentale (è l’unico finora che ho visto qui con una parte del menù scritta in caratteri latini, anzi proprio in inglese!) dopo il badminton. Ki non ci può andare quei giorni perché ha lezione. Comunque magari riesco ad andarci prima di partire. Qui si mangia una specie di cotoletta, ma con il panato più leggero (fatto della stessa pasta con cui si fanno gli pseudo-okonomyaky di ieri) bilanciato dall’aggiunta di formaggio fuso. In ogni modo ne prendiamo uno in due. Ad un certo punto arriva un vecchio e baronale professore (insegna legge mi dice dopo Ki) che evidentemente seguendo un’etichetta più “tradizionale” non mi degna neanche di un saluto (al massimo di uno sguardo di sufficienza, “povero straniero che non capisce nulla” avrà pensato) e ovviamente parla solo coreano. Portamento da barone appunto, è l’unico vestito in giacca è cravatta, con tanto di distintivo non ben identificato sul risvolto - anche se per un’eleganza vera gli sarebbero serviti i gemelli ai polsi della camicia, mancavano - si mette a parlare (me lo spiega di tanto in tanto Ki) delle elezioni che ci saranno a presidente dell’Università in autunno e di quando è arrivato qui alla KNUE (ovvero praticamente dall’inizio). Forse si candida? penso. Che si candidi o no, che non mi si fili o no, gioca fino in fondo il suo ruolo di “maschio dominante” e paga per tutti. Tanto meglio per me! Finiamo che non sono neanche le otto e trenta, allora con Ki e un altro professore, più giovane e simpatico del “leader pagatore”, andiamo a prendere un’ultima cosa: soju che qui non si beve mai secco ma sempre accompagnato da qualche spuntino, che secondo me meritava la cena intera: una specie di pop-corn coreani (simili ma più leggeri di quelli americani) e un altro ciotolone dove dentro un brodo caldissimo galleggiano dei pezzetti di pesce tipo panati (non è vera panatura, è più leggera, la stessa pastellatura, se così la possiamo chiamare, degli okonomyaky credo). Un paio di bottiglie di soju rendono la conversazione sciolta e surreale. Infatti l’altro professore insegna coreano e inglese lo parla a stento con un accento fortissimo, tant’è che neanche Ki lo capisce a volte, quindi si fa dire le frasi in coreano e poi me le traduce in inglese. Simpatico il professore di coreano, in ogni modo. Chiacchieriamo per berci un paio di boccette di soju e parte dello zuppone (anche qui come a cena sfrutto l’usanza dei piatti in comune per non mangiare tutto ma al tempo stesso mangiare e far vedere che apprezzo) e poi verso le nove e mezza a nanna.
Ed eccomi qui. Penso che per oggi è sufficiente. Mi aspetta la seconda notte asiatica, speriamo di dormire di filato.
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