domenica 18 settembre 2011
Dalla Corea (13) - 17 settembre 2011
Sabato. Non c’è lezione, ma vado ugualmente in dipartimento, e non sono il solo, perché in ogni modo Ki è lì (e non avrei molti posti dove andare) e ci sono pure Woochurl (in arte Ciccio) e più tardi arriva anche Ara. Insomma si lavoricchia anche nel fine settimana. Ciccio ieri ha avuto una specie di festa per il diploma che prenderà a febbraio (qui l’anno accademico inizia a marzo) e mi fa vedere le cartoline (in coreano) e l’hard disk esterno (rigorosamente di marca coreana, Samsung) che ha ricevuto. Andiamo così a pranzo con Ki e Ciccio in un posto ancora nuovo, nella parte di Chungju vicino alla ferrovia, più “campestre”, i palazzoni si vedono solo in lontananza e ci sono molte casette basse, sempre sparse un po’ alla rinfusa, che ancora sentono l’influsso di un passato agricolo. Mangiamo appunto in un posto di questi, un tavolino all’aperto, riparato da un telone contro il sole e con un ventilatore per alleggerirci dall’afa che è ancora molto forte. Un pranzo leggero e nutriente, perché, dice Ki, ci serve energia per il tanto caldo. In pratica la solita zuppa con verdure e pesce mi dice, ma si è sciolto così che non si vede, contorniata da tante ciotoline, dove si scopre sempre qualcosa di nuovo. Questa volta le novità sono una specie di gelatina di noci e le foglie di sesamo non ho ben capito come trattate ma squisite. Questa volta imito Ciccio e verso il riso nella zuppa, così ne abbassa anche un po’ la temperatura che è come sempre altissima. Siamo tra i pochi a mangiare fuori, dentro però ci sono solo i tavoli dove si mangia per terra, e questo Ki me lo evita (mi spiace un po’, per loro è più comodo per terra, io ci ho provato un paio di volte, anche se con le zuppe è molto difficile, oltre ad distruggerti le gambe), e il locale pare molto famoso, ci vengono apposta da Seoul, e alla fine una signora facente parte di un gruppo che veniva appunto da una banlieu di Seoul, mi vede e mi saluta (mai vista, molto “brave” dice Ciccio) e mi chiede non capisco bene cosa, anche perché Ki è andato a pagare e Ciccio non è che parli un inglese tanto comprensibile.
Torniamo in dipartimento, anche per respirare grazie all’aria condizionata, Ciccio dopo un po’ va via, ci salutiamo forse ci vediamo domenica, altrimenti chissà, deve studiare per entrare in una graduate school di un’altra Università (Postech) e magari tra alcuni anni verrà in Francia per un post-doc. Chissà. Intanto alle quattro Ki va alle prove dello spettacolo della sera, sì perché c’è un concerto speciale del gruppo “Moderato” per i suoi venticinque anni, di cui Ki è il “faculty advisor”. Ci vediamo per cenare velocemente alle sei in un posto vicino all’Università, noodles e chimci kimpa, poi torniamo in dipartimento e alle sette e mezza vado allo spettacolo. Un gruppo folto di studenti suonano e cantano canzoni pop coreane, alternandosi agli strumenti e cantando tutti. Anche se molti non hanno una voce ‘educata’ però tutti hanno le corde vocali coreane, note per essere molto spesse e quindi dare naturalmente potenza, ed infatti così è. Poi un’atmosfera molto simpatica e allegra, e dopo un po’ di problemi tecnici iniziali, il sipario che non si alza qualche strumento che non suona, si alternano sul palco tutti vorticosamente. E per un concerto che è poco più di una recita scolastica avere dieci microfoni aperti sul palco e nessun rientro è un segno di una notevole efficienza tecnica. Certo le canzoni sono in coreano, ma parafrasando il maestro, “ascoltiamo il novanta per cento di canzoni in inglese senza capire un cazzo, ne possiamo ascoltare alcune in coreano con lo stesso effetto”. Ki è abbastanza emozionato, ma dopo un inizio in cui il tempo non si capisce ingrana e se la cava fino alla fine. Da notare come, a differenza di quanto avviene in occidente, nel gruppo ci sono tanti ragazzi, quasi alla pari delle ragazze, che tenuto conto del fatto che l’Università ha una prevalenza femminile è ancora più stupefacente. Incredibile anche vedere ragazze al basso e alla batteria. Insomma i coreani sono tutti canterini e si vergognano poco, pur non essendo sfacciati. Poi il pubblico è molto caldo e non sta lì ad ascoltare passivamente, batte il ritmo, urla cose ai vari gruppi di amici (cose per me incomprensibili ovviamente), ride e insomma, partecipa. Ara resta solo i primi tre pezzi (ovvero fino al brano di Ki) e poi torna in dipartimento a vedere e classificare traiettorie, porella. Ed è sabato sera. Fuori il campus non è morto ma ci sono oltre a studenti che lavorano come Ara (vedo le luci accese nei dipartimenti) molti altri in giro, che giocano a basket o che si avviano verso i locali limitrofi.
Dopo lo spettacolo ci prendiamo una birra e un po’ di sojou accompagnati dall’ottima seppia secca in un pub vicino al campus e a nanna. Oramai mi aspetta l’ultimo giorno di Corea e poi un lungo viaggio verso Parigi. Mi riservo dopo la fine delle cronache quotidiane qualche riflessione generale sulla forza dell’oriente e su come e soprattutto perché, secondo me, in occidente “siamo spacciati”. Penso che lunedì non avrò modo di mettere la cronaca dell’ultimo giorno, dovrò aspettare di essere arrivato a casa, a meno che all’aeroporto di Seoul non ci sia un wi-fi gratuito e abbia il tempo di farlo.
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