sabato 1 ottobre 2011
Dalla Corea (17) - La TV coreana
Vedere la televisione in Corea non è certo un’impresa facile, perché come è ovvio il coreano è una lingua incomprensibile non solo a sentirla ma anche a leggerla, così neanche i titoli dei telegiornali o le notizie che scorrono in basso, come si trova oramai in tutte le televisioni del mondo, assimilazione alla CNN, sono inutili per capire cosa sia accaduto, solo qualche immagine può dare un’idea molto vaga. Quindi ho visto molto poche volte la tv la sera tornando dopo cena nella mia stanza prima di dormire, una delle poche cose che si potevano capire erano le previsioni del tempo perché anche se i nomi delle città sono anch’essi scritti in coreano (e quindi incomprensibili), sapendo che Seoul è in alto a sinistra e Chungju un po’ più a sud, gli internazionali disegni di sole e pioggia potevano far comprendere il messaggio base. Certo quando poi mettono le temperature in alcune caselline orizzontali non si capiva se si riferissero ai giorni della settimana o a diverse città. Ma questo era un dettaglio. A parte i telegiornali due mi sono sembrati i tipi programmi che vanno per la maggiore: gare canore di varia natura e film storici coreani. Soprattutto le gare canore mi è parso piacciano molto ai coreani, un mix tra un Sanremo continuo e un reality, tra un X-factor e uno show di Paolo Limiti. Infatti in una trasmissione molto seguita si alternano per settimane cantanti che non sono più sulla cresta dell’onda (evidentemente il successo brucia rapidamente in Corea, perché si trattava di cantanti spesso giovani, famosi dieci o quindici anni fa, ed ora evidentemente già in declino) in competizione tra loro, sette in totale e ogni tre puntate uno viene eliminato (e poi sostituito da uno nuovo) a seconda dei voti dati dal pubblico su due esibizioni (il pubblico presente in sala non quello “da casa”, non ancora, o non più, televoto). In un’altra trasmissione simile invece cantanti pop devono cantare e imparare a cantare brani di opere liriche (con risultati spesso penosi, per quanto ho potuto vedere e ascoltare una volta). Insomma, la passione coreana per la musica, unita alla passione universale per le competizioni e soprattutto al piacere un po’ morboso nel il vedere “le facce sofferenti” dei cantanti che aspettano il giudizio del pubblico, e a quel pizzico di “reality” - ovvero quella tecnica televisiva attuale in cui si seguono le lavorazioni di un brano, dove le telecamere entrano nei back-stages e dove alle esibizioni si alternano interviste sulla preparazione dei brani e quasi di “auto”-analisi sulla propria presenza nella competizione, dove si palesano timori e speranze - ha creato un filone di trasmissioni televisive molto in voga in Corea, mi è parso di capire.
I film storici coreani, in costume, pieni di combattimenti con la spada, con le lance, di guerrieri presi nel loro ruolo, concentrati prima della battaglia, alla testa di schiere di cavalieri e fanti ma che cercano di evitare inutili spargimenti di sangue, restano ad un livello solo superficiale di comprensione, possiamo “vedere le figure” e ammirare i costumi, le espressioni, le acconciature, il modo di rapportarsi di un mondo antico ma non possiamo capire le storie, se siano invasioni cinesi, giapponesi o mongole, faide intestine o entrambe le cose. Peccato, anche se hanno l’aria di essere un po’ troppo dei polpettoni, sarebbe stato interessante capirli per conoscere meglio la storia di questa piccola terra dell’estremo oriente.
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