sabato 30 giugno 2007

Idee - Cultura della Programmazione

Lo vediamo in questi giorni con la costituzione del partito democratico: quello che manca sempre in Italia è la programmazione. A tutti i livelli. Ogni cosa sembra lasciato al caso e all’approssimazione, alla cultura dell’ultimo minuto, così che coloro che sono nella migliore posizione, i più scaltri, coloro che hanno la miglire rete di conoscenze, in breve coloro che sono già in posizione dominante sono i più avvantaggiati. Come dire che da costume e abitudine è divenuto modus operandi per mantenere lo status quo.
Democrazia vuol dire anche chiarezza, trasparenza e comunicazione. Una Glasnost all’italiana sarebbe per esempio introdurre la regola della programmazione degli eventi. L’approssimazione e la precarietà delle decisioni è deleterio infatti per la vita di molti, penso per esempio a tutti coloro che aspettano magari un concorso o che ancor peggio l’hanno vinto ma non vengono assunti. Prendiamo il caso della ricerca e della scuola: gli enti di ricerca non assumono più per concorso, ma solo per vie “traverse” con procedure oscure e mai rese troppo pubbliche, nell’università si può vincere un concorso (i cui termini sono sempre lasciati all’arbitrio locale) ma non si conoscono mai le scadenze dei vari passi (quando si fanno le prove? Quando si sanno i risultati? E quando si entra in servizio? Tutto arbitrario e oscuro). Nella scuola poi l’esercito dei precari è divenuta un’abitudine da molti tempi. E nella pubblica amministrazione non è diverso, come anche nelle associazioni politiche.
Prendo un esempio che conosco bene: il funzionamento (inteso come regole) delle assunzioni al CNRS francese:

- ogni anno in ogni disciplina vengono aperti un certo numero di posti;
- a dicembre (e sempre a dicembre) escono i bandi con la ripartizione dei posti in ogni settore;
- entro circa il 15 gennaio bisogna presentare la domanda (che per la cronaca consta di un dettagliato programma di ricerca, più CV, diplomi e lettere di presentazione e si può fare tutto su internet);
- in primavera, tra fine marzo e maggio si svolgono i colloqui, le cui date sono note verso febbraio in genere e variano per ogni sezione, ma il periodo è comunque sempre quello;
- dopo una settimana dal colloquio i risultati sono noti (sul sito internet);
- quindi iniziano ad arrivare le carte in cui si accetta (o no);
- il primo ottobre si entra in servizio.

E questa procedura si attua tutti gli anni per il CNRS e in modo simile per gli altri enti di ricerca. Una procedura simile si ha nelle università e per l’insegnamento nelle scuole. D’altra parte lo stato sa chi va in pensione e chi no, sa e decide quali sono le necessità, e quindi programma, dimostrando serietà e dando fiducia ai cittadini.

Ripeto, un valore estremamente democratico è la programmazione (quando possibile ovviamente, ma lo è quasi sempre se ci si pensa bene), poiché costituisce quella eguaglianza delle opportunità nel suo livello di base, ovvero sapere in anticipo quali sono le opportunità e regolare così la propria vita.

2 commenti:

Philippe ha detto...

Il contrario della programmazione è la confusione. Mi viene in mente un articolo di Alberoni (Corriere, 6 ottobre 2006):

"A volte il disordine e l’imprevedibilità servono per acquistare potere. È il caso del dirigente capriccioso, umorale, ora gioviale ora collerico che terrorizza i dipendenti perchè non sanno mai cosa aspettarsi ed hanno l’impressione di vivere in un labirinto di cui lui solo conosce l’ingresso e l’uscita."

Riccardo ha detto...

Appunto. Dall'estero prima di prendere modelli precostituitie (come il liberale inglese o il più statalista francese, o il tedesco o quel che si voglia) prendiamo la programmazione e la certezza.

In uno stato dove chi viene assunto o chi ha un lavoro commissionato non sa mai quando e se verrà pagato (e l'assurdo è che ciò è ancor più vero quando a pagare dovrebbe essere lo stato), che serietà può avere ogni altra cosa?
D'Alema anni fa parlava di un paese normale, dopo sei anni di governo (1996-2001 e 2006-2007) non mi pare che abbia fatto cambiare molte cose. Perché credergli in futuro?