sabato 8 ottobre 2011
Indignarsi nel mondo (una riflessione "comunista")
Per parafrasare un vecchio adagio (ed essere forse troppo ottimisti), si potrebbe in effetti dire che c'è uno "spettro che si aggira" per il mondo, che unisce le piazze di Spagna, Siria, Tunisia, Stati Uniti, persone che vanno in piazza a protestare, "indignate". Seguendo l'esortazione quasi profetica di un recente pamphlet dall'enorme, insperato e soprattutto inimmaginato successo di Stéphane Hessel. Eppure certamente non si possono razionalmente unificare i motivi che hanno spinto i giovani (e meno giovani) di Tunisia, Egitto e Libia, e che spinge ancora quelli di Siria e Yemen a ribellarsi contro le dittature che da decenni dominavano (o dominano ancora) i loro paesi, con le piazze di Madrid e New York, queste ultime spinte più da indignazione che da "normale" rivolta contro il tiranno.
Quindi questa analogia mi pare inutile farla.
I motivi del malcontento occidentale sono diversi, sono nell'esplosione, nel corto-circuito del sistema "produci-consuma-crepa" (per usare ancora un'espressione forte ma evocativa del passato) che sta prosciugando i consumatori proprio perché per aumentare i consumi (diminuendo i prezzi) si è spostata la produzione e quindi si sono "impoveriti" i sistemi industriali. Ma se non si produce poi non si può più consumare. Mentre il crepare non ce lo leva nessuno, in ogni caso.
Per ora questi "indignati" hanno prodotto poco, anzi l'unica cosa è paradossalmente il ritorno della destra in Spagna (prima alle amministrative e molto probabilmente alle prossime politiche) e il rischio della sconfitta di Obama l'anno prossimo; per ora, come già accaduto in passato con il 68 francese, le rivolte anti-sistema rischiano di far tornare al potere i paladini del sistema, coloro che lo rivendicano e l'hanno imposto come pensiero unico e dominante nel mondo.
Ad essere ottimisti certamente si potrebbe sperare che da queste piazze e da queste indignazioni potrà nascere una visione del mondo diversa che superi se non tutte almeno alcune delle ingiustizie dell'oggi. Però ad essere pessimisti si ha purtroppo molto più spesso ragione, e intanto rischiamo che l'indignazione travolga più una sinistra troppo timida nel contrastare il "neo-liberismo" e meno i liberisti "puri e duri", facendoli così trionfare. Almeno nel corto periodo.
Per finire queste brevi (e sempre rare) riflessioni politico-economiche, si potrebbe sperare che lentamente ma inesorabilmente il pensiero dominante smetta di essere dominante e sia così più facile metterlo in discussione e attuare quelle politiche che a volte sembrano "eterodosse" rispetto all'ortodossia liberista. O quanto meno dare spazio all'immaginazione politica necessaria per superare la pigrizia dell'ineluttabilità del presente.
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