martedì 18 ottobre 2011
Dalla Corea (20) - Conclusioni
Oramai sono tornato in Europa da quasi un mese e ho il necessario “distacco” per delle brevi conclusioni finali che qualcuno mi chiedeva. Due settimane intense, in “full immersion” in un paese lontano, diverso, ma non del terzo né del secondo mondo, un paese che si è sviluppato tantissimo in questi ultimi anni, fondendo i nostri canoni di “sviluppo”, ovvero lo sviluppo industriale e post-industrale/tecnologico, alle tradizioni della cultura del grande oriente. Due settimane non da turista, o per una visita congressuale, ma vissute dentro un campus coreano in una città di provincia, dove ho mangiato nei ristoranti dei coreani, seduto a volte anche come un coreano, dove sono andato in un’Università completamente coreana, tra studenti curiosi che mi guardavano come un “marziano”. Poter vedere, toccare per mano, al di là di sterili statistiche e di commenti di esperti che non hanno mai messo piede in Asia, cosa sono le tigri asiatiche, cosa vuol dire il lavoro e il futuro in quella parte del mondo, come siamo marginali noi qui in questo vecchio e stanco continente per il miliardo di persone che vive in quella zona della terra, che si produce tutto in casa, lasciandoci solo la banderuola della moda - nel senso largo di cosa è “à la mode”, e quindi di cosa è di lusso.
Ho detto del modo di lavorare - per quello che ho potuto vedere - che è piuttosto diffuso anziché intensivo, della cucina, delle case o meglio palazzi che si ergono sterminati, formando come delle moderne grandi muraglie, contenendo le città e sbucando dalle verdi montagne, dei templi, di Seoul, della lingua, delle feste tradizionali, della televisione, dell’amore per le canzoni e di quello che ho potuto vedere e immagazzinare. Ovviamente sono tornato con un bel libro buddista (in realtà l’ho comprato in inglese quando sono tornato a casa, il coreano mi risulta un po’ troppo ostico) che mi ha consigliato Ki e con qualche storiella Zen (o meglio Seon) verace.
Non so quando ritornerò in Asia, quando soprattutto potrò farlo vivendo quasi completamente il quotidiano. Intanto spero che quei pochi lettori abbiano gradito queste righe sia quelle che ho scritto durante il mio soggiorno, a caldo, ogni sera prima di andare a dormire nella spartana stanza riservata agli ospiti della KNUE, sia queste ultime riflessioni conclusive, scritte con un po’ di distacco.
Se mi chiedete una riflessione finale, unica, conclusiva, non so cosa dirvi, condensare tante esperienze e considerazione in un’unica frase, in un unico attributo. Quindi non posso non chiudere con le parole di un poeta cinese, Bai Juyi:
“Chi parla non sa,
chi sa non parla”
Si dice che queste parole
le abbia scritte Lao-tzu.
Se dobbiamo credere che Lao-tzu
fosse uno che sa,
come mai scrisse un libro
di cinquemila parole?
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