giovedì 4 agosto 2011

Verso l’Università, tra statistiche e passioni

Uscito qualche il 25 luglio sul blog de iMille, ma ero appena partito per Ischia. Lo ripropongo anche qui ora.

Finiti gli esami di maturità come ogni anno arriva il momento della scelta di “cosa fare dopo”. Per molti studenti con un diploma di maturità arriva l’iscrizione all’Università. Prendo questo spazio per qualche consiglio e riflessione, cercando di incrociare i dati disponibili facilmente in rete (forniti da AlmaLaurea[1], dall’Istat[2] e dal Ministero[3]) con suggerimenti meno quantificabili ma che sono ugualmente importanti per ben dirigersi nella scelta dopo la scuola superiore.

Per prima cosa molti devono decidere se proseguire iscrivendosi all’Università oppure no. Molti sicuramente hanno già fatto questa scelta a fine luglio. La domanda semplice “conviene fare l’Università oppure no?” che ancora ronza nella testa di alcuni non ha sicuramente una risposta unica per tutti. Certamente non possiamo non dire che continuare gli studi è un di più per la propria formazione globale (quella che si chiamava cultura generale). Lo è anche per il lavoro e il tenore di vita successivo? Questo dipende da molte cose, ma per decidere individualmente bisogna chiedersi intimamente e sinceramente: “altri tre anni (come minimo) di studi? posso affrontarli economicamente e psicologicamente?” Uno solo è il consiglio sicuro: iscriversi all’Università solo perché non si sa che fare è una perdita di tempo, di energie e di denaro. Ci si iscrive per fare un “investimento”, ma che va ricalibrato nel mondo dell’Università di massa. Infatti oggi il “pezzo di carta” non garantisce più un lavoro sicuro e prestigioso. E questo è inevitabile quando si è passati dall’Università “aristocratica” a quella di massa.

Quindi per tutti gli studenti che non siano fortemente allergici allo studio e ad un po’ di sacrificio la cosa sicuramente migliore da fare è quella di iscriversi all’Università. Ma questo è un suggerimento “facile”, ovvero già accolto dalla maggior parte degli studenti se, come ci dice l’Istat [4], circa il 70% dei diplomati della scuola secondaria superiore si iscrive ad un corso universitario. L’importante è iscriversi senza pensare che arrivare ad un diploma universitario sia di per sé sicurezza e diritto ad un lavoro ma con la consapevolezza che, nel mondo (migliore) della cultura di massa, l’istruzione secondaria superiore non è più sufficiente per formare dei cittadini consapevoli, liberi e (probabilmente) più capaci di affrontare le burrasche del mondo in movimento di questi lustri.

Come scegliere, quindi? In questi giorni le Università organizzano delle giornate “porte aperte” o si fanno la pubblicità (anche quelle pubbliche) con cartelloni e spot. Ma la scelta primaria non è solo “in quale ateneo” ma “quale corso di Laurea”. Si dice spesso “fare quello che piace”, ma tranne poche e rare “vocazioni”, molto più spesso non si conoscono bene le differenze tra le specialità, e così si sceglie seguendo il fiuto, le mode, i “sentiti dire” (ovvero le false speranze di un lavoro sicuro) o la famiglia.

Per prima cosa però credo che bisogna domandarsi quali e che tipo di sacrifici si è disposti a fare. Ci sono infatti alcune facoltà che richiedono uno studio molto intenso e continuato e che quindi obbligherà, se si vuole resistere, a sacrificare molte giornate sui libri quando i propri amici magari vanno in vacanza. Non bisogna però neanche pensare che siano solo i corsi di area tecnico-scientifica ad essere di più difficile riuscita. Infatti se loro è la maggiore percentuale di mancata re-iscrizione dopo il primo anno (tra il 25 e il 30% sempre secondo l’Istat [4]) quantificando l’insuccesso come studenti che si laureano entro sette anni dall’immatricolazione troviamo tra le facoltà con più insuccessi le aree giuridiche, con il 31% di lauree con una durata ragionevole, quando l’area scientifica (che vede una maggiore selezione il primo anno), ha il 36%.

Non voglio dire che l’area giuridica è “più facile” di quella “scientifica” in assoluto, ma che nella scelta bisogna caratterizzare il concetto di “facilità”. Se infatti è evidente che nelle facoltà scientifiche le difficoltà sono all’inizio e molti non se la sentono più e abbandonano perché si rendono conto che quel tipo di sforzo richiesto non possono o non vogliono darlo, nelle facoltà giuridiche la difficoltà è più subdola, arriva col tempo.

I motivi delle difficoltà, della lentezza e degli abbandoni possono essere molteplici, ma restiamo qui nell’ottica di chi si deve iscrivere.

AlmaLaurea riporta per ogni facoltà (ma anche corso, sede, gruppo disciplinare se si vuole), un’accurata analisi sui laureati negli ultimi cinque anni [5]. Qui ci accorgiamo che l’area giuridica ha un voto medio di diploma tra i più bassi (84 nel 2010, in netto e pericoloso calo negli ultimi anni), mentre Ingegneria ha uno dei valori più alti (90), insieme a Scienze (87, con Fisica con un sorprendente voto medio di 93). La differenza deriva dal fatto che i migliori studenti si iscrivono a Ingegneria e Fisica? Questa è una risposta troppo semplicistica, ed è smentita se guardiamo altri dati. I laureati in Economia hanno un voto medio di diploma superiore di 85 (ovvero come giurisprudenza), ma hanno un tasso di riuscita estremamente più alto (52%, uno de più alti). E lo stesso vale per i laureati della facoltà di Lettere e Filosofia, dove si iscrivono studenti con un voto di maturità medio di 85 con un tasso di successo del 43% (inferiore a quello di economia ma ancora molto migliore di quello dell’area giuridica). Ma il più rilevante contro-esempio arriva dalla facoltà di Medicina: qui i laureati hanno i voti di diploma superiore tra i più bassi (78) ma la più alta probabilità di riuscita. Oltre ad essere quelli che dopo la laurea hanno più facilmente un lavoro e meglio pagato. Verrebbe da dire che dai numeri la facoltà da suggerire è proprio quella di Medicina (e infatti i test di ingresso a queste facoltà sono da molti considerati quasi un pre-concorso di lavoro, tant’è che si arriva a frodarli). Però è anche vero che è uno dei corsi in cui maggiori devono essere le motivazioni per iscriversi. Farla solo perché lo dicono le statistiche sarebbe un grande errore. Le statistiche semplicemente servono a confermare motivazioni già esistenti o a guidare nell’incertezza tra due (o tre) discipline.

Perché se vediamo le statistiche fornite sempre da Almalaurea [1] sul lavoro post-laurea e sulla provenienza dei laureati non c’è da essere allegri. Gli stipendi calano nettamente negli ultimi anni (del 9.6% in cinque anni) come anche l’occupazione (dal 6 all‘8.5% a seconda del livello di laurea). Come anche inquietante è la provenienza familiare dei laureati: si tende (soprattutto in Giurisprudenza ed Ingegneria) a seguire le orme dei padri e migliore è la condizione sociale della famiglia di provenienza maggiore sarà lo stipendio a cinque anni dalla laurea.

Tutti questi numeri, se possono aiutare, non devono però bloccare o deprimere. Devono far riflettere sul fatto che non esistono soluzioni facili, tranne per chi ha la fortuna di avere la soluzione tra le mura domestiche. Allora prima di concludere, è bene guardare un’ultima analisi condotta sempre dall’Istat [4]: l’insoddisfazione per gli sbocchi professionale, ovvero qualcosa che mette insieme il guadagno economica con quella del gusto del proprio lavoro. Più della metà dei laureati sono (purtroppo) insoddisfatti, con una netta prevalenza dei laureati in “corsi lunghi” (65%) su quelli delle lauree triennali (51%). Tra i più insoddisfatti abbiamo i laureati nell’area letteraria (78%) e giuridica (67%), mentre i medici sono (ancora) tra i più soddisfatti (solo il 36% sono insoddisfatti, d’altra parte fare il medico è un mestiere unico, fondamentale e ben preciso), ma vanno bene anche gli studi economico-statistici (solo 43% di insoddisfatti), ingegneristici (52%), scientifici (61%) come anche architettura (61.5%).

Pensare e valutare sforzi fattibili, avere l’umiltà di non fare il passo più lungo della gamba, ma anche mettersi in gioco ed iscriversi ad un corso di laurea che richiede impegno e dedizione. Ma soprattutto chi sente di avere degli interessi specifici e magari pensa che quelli non siano compatibili con il lavoro, ci pensi su prima di sacrificare la soddisfazione alla sicurezza, anche perché si rischia di non avere né l’una né l’altra.

Concludo quindi con qualche suggerimento che non ha basi statistiche (quelle le ho date prima e sono accessibili in tutti i dettegli nei siti che ho riportato) ma ha il vantaggio di riferirsi a singole storie vere che possono succedere a chiunque. Ho visto ottimi studenti liceali che inseguendo il mito della laurea tradizionale hanno perso delle occasioni per ritrovarsi con niente in mano. Ho visto altri che hanno rischiato le fatidiche lauree letterarie,e che invece lavorano nella comunicazione o sono degli ottimi insegnanti. Ho visto altri che hanno guardato alla fine non volendo fare sacrifici all’inizio e si sono bruciati le ali. Ho visto altri che hanno studiato intensamente dal primo all’ultimo giorno e sono giovanissimi professori associati senza alcuna famiglia dietro [6].

Ognuno vedrà se stesso dopo alcuni anni, vedrà la propria parabola e si giudicherà. Che la scelta sia quindi personale e consapevole, perché indietro non si può tornare ed è sicuramente meglio rischiare in proprio che poi recriminare scelte imposte, direttamente o indirettamente, da altri (famiglia o società).

L’università, la società, gli studenti stessi, hanno bisogno per migliorarsi, per non arrancare o retrocedere, di motivazioni e passioni che solo una scelta libera e “gioiosa” possono dare.

[1] http://www.almalaurea.it/
[2] www.istat.it/lavoro/unilav
[3] http://statistica.miur.it/normal.aspx?link=datiuniv
[4] www.istat.it/lavoro/unilav/prima_parte.pdf
[5] http://www2.almalaurea.it/cgi-php/universita/statistiche/tendine.php?anno=2008&config=profilo
[6] in Svizzera

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