Online ieri sul blog de iMille, oggi anche qui perché ero a fare degustazione di vini alsaziani ...
Ogni tanto in Italia compare lo spettro del voto degli italiani all’estero. Introdotto dal ministro del governo Berlusconi Mirko Tremaglia a partire dal 2006, con tanto di riforma costituzionale, lo si immaginava all’inizio come una riserva di voti della destra nostalgica, ma comunque di impatto marginale per le sorti della politica italiana. Poco più di un favore tra il nostalgico e folkloristico dato ad un ex-repubblichino. Nel 2006 invece divenne decisivo in Senato (paradossalmente a favore del centrosinistra), dove le sorti del governo Prodi erano tenute in piedi dal senatore indipendente sudamericano Pallaro. Infine, passando per lo scandalo del senatore De Gregorio, si è arrivati al “battiquorum” dei giorni precedenti i referendum di giugno. Infatti perché i referendum fossero considerati validi era necessario ottenere il 50% +1 di tutti gli aventi diritto, compresi gli italiani residenti all’estero. Naturale si direbbe in un paese sensato. Pericoloso invece per l’Italia, perché dei quasi 3 milioni di italiani residenti all’estero, una percentuale alquanto ridotta vota normalmente, tra il 20 e il 30 % a seconda delle consultazioni. E anche questa volta non si è smentita, con un’affluenza del 23%. Fortunatamente il voto degli italiani residenti in Italia è stato largamente superiore al minimo richiesto che la bassa affluenza degli italiani residenti all’estero non è stata decisive per le sorti della politica italiana. Facciamo notare che l’incidenza non è marginale su un referendum, se infatti prima del conteggio dei votanti all’estero, l’affluenza considerando solo i seggi in Italia era di circa il 57%, alla fine si è arrivati (contando quindi tutti) al 54,8 %, quindi più di due punti percentuali. Non vogliamo immaginare quale polemica si sarebbe scatenata se in Italia ci si fosse attestati al 51% (a prescindere dal caos generato sul quesito numero 3, per cui si è cambiata la legge quando le schede erano state già spedite e votate).
Ma ricominciamo con calma.
Per prima cosa, cosa e chi sono questi italiani all’estero? Sono, formalmente, gli iscritti all’AIRE, ovvero l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero. Non sono quindi studenti Erasmus, o chi va all’estero per alcuni mesi, di passaggio, per lavoro, per impegni personali. No. Questi per votare devono tornare in Italia. Sono quanti sono andati via dall’Italia per lavorare all’estero, non solo negli ultimi anni. Sono gli emigrati vecchi e nuovi. Ma sono anche i loro figli e i loro nipoti. Sì, sono tutti coloro i quali hanno, per diritto di sangue, la possibilità di acquisire un passaporto italiano. Anche come secondo (o terzo) passaporto. Sono quindi nella maggior parte dei casi persone che con l’Italia hanno principalmente un legame familiare o puramente amministrativo. La casistica è molto variata, ma principalmente pagano le tasse in un altro paese (come è giusto e normale che sia, perché le tasse si pagano dove si produce il reddito) che è quello in cui vivono e dei cui servizi hanno beneficio. Sono quindi cittadini italiani, alcuni con un solo passaporto (principalmente chi è andato via dall’Italia da meno di 10-15 anni), altri con due, alcuni che pensano (o sperano) di poter un giorno ritornare, altri che invece l’Italia non l’hanno mai vista se non nelle cartoline dei loro nonni che presero un piroscafo per Buenos Aires (o per New York o più in generale nei tanti porti, aeroporti e stazioni ferroviarie che hanno accolto gli emigrati italiani) quando quella parte del mondo era ricca e prospera.
Come e per cosa votano gli italiani all’estero? Il voto per politiche e referendum è gestito dai consolati per corrispondenza (diversamente avviene invece per le elezioni europee, dove i consolati organizzano dei seggi, e per gli italiani residenti in UE è possibile scegliere se votare per le liste italiane o quelle del paese di residenza, mentre per le amministrative è necessario recarsi in Italia), attraverso un meccanismo che è molto criticato, e giustamente perché suscettibile a frodi (e tentativi, di vario tipo, ce ne sono stati in passato, anche documentati). Infatti i consolati inviano per posta ordinaria i plichi contenenti le schede da votare, con le istruzioni, a tutti gli iscritti AIRE aventi diritto, i quali devono votarle e rimandarle sempre per posta. Un sistema semplice e facile, se però non fosse affetto da alcune carenze organizzative che possono poi avere un reale effetto sul risultato elettorale.
Per camera e senato gli italiani residenti all’estero eleggono un piccolo gruppo di deputati e senatori che, nell’idea del legislatore, non dovrebbero influire sulla composizione della maggioranza parlamentare. Infatti alla Camera i voti all’estero non rientrano nel conteggio che fa scattare il premio di maggioranza. Mentre al Senato è possibile che i senatori eletti all’estero siano decisivi, cosa avvenuta nel 2006 con lo stupore di tutti e che non è più successo. Il “parlamentare di tribuna”, o di rappresentanza non esiste nel nostro sistema e quindi tutti i parlamentari sono potenzialmente decisivi nella formazioni dei governi (è ovvio non esistono diversi tipi di parlamentari, né una camera delle rappresentanze territoriali con poteri diversi, come per esempio è il caso del Senato francese), e potrebbero ritrovarsi decisivi in questo finale di legislatura dove si rimescolano le carte tra maggioranza e opposizione.
Parliamo ora del caso dei referendum, dove è fondamentale raggiungere l’agognato quorum. Le buste vengono mandate per posta ordinaria, e quindi sono affette da tutti i problemi che possono risultarne, smarrimenti, ritardi, plichi che tornano indietro. Bisogna poi anche dire che gli elenchi dei consolati sono spesso poco aggiornati, sia per pigrizia dei residenti AIRE sia per lentezza amministrativa (ci vogliono alcuni mesi spesso perché risulti un eventuale cambiamento di indirizzo, per non parlare degli aggiornamenti dei deceduti). Quindi, mentre alle elezioni per il parlamento il voto degli italiani all’estero è difficile che sia determinante (ma non impossibile, l’abbiamo visto una volta), per i referendum è molto probabile sia de facto determinante. E lo è non nell’espressione del voto ma nell’affluenza che è il punto più dolente, sia per motivi “tecnici” (ovvero per come sono organizzati i consolati e come questi organizzano il voto), sia per motivi “politici”. Infatti, per quale motivo un residente all’estero da tanti anni si dovrebbe esprimere per una legge italiana? E questo lo dico non dal punto di vista di chi risiede in Italia, ma proprio di chi risiede all’estero. E ovviamente le generazioni più lontane sono ancor meno (e giustamente) saranno interessate a specifiche leggi italiane. E la bassa affluenza ne è una testimonianza.
Non riapriamo qui il senso del voto degli italiani all’estero, che sicuramente merita un approfondimento ulteriore. Ma vogliamo chiudere con una domanda. Perché chi vive in Argentina, e vi è magari anche nato (dico Argentina, ma potrebbe essere Australia, Germania, Svizzera, fate voi), può decidere se in Italia si fa o non si fa il nucleare, se l’acqua è pubblica o privata, o se i ministri possono eccepire un legittimo impedimento per non presentarsi ai processi, mentre l’argentino (o l’australiano, il tedesco, l’egiziano, il marocchino, il senegalese, continuo?) che vive e lavora in Italia, che manda i suoi figli alla scuola italiana, che beve l’acqua del rubinetto della propria città, che paga tasse nazionali e locali, invece non ha alcun diritto democratico?
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