martedì 24 maggio 2011

Dante e l'elettrone

Oggi sul sito de iMille:

“Chi è Dante?” E’ una domanda quasi sfrontata, e colui al quale la si rivolge può facilmente rispondere quasi offeso, perché “chi non sa chi è Dante”? Magari senza entrare nei particolari, ma quasi tutti in Italia sanno chi è Dante, perché ne hanno sentito parlare a scuola, e si ricordano il viaggio tra Inferno, Purgatorio e Paradiso, e poi magari le letture di Benigni in prima serata le hanno richiamate alla memoria o semplicemente diffuse tra chi al liceo non è mai andato. Per questo chiedere “chi è Dante” risulta quasi offensivo, e in pochi ammetterebbero di non saperlo senza ammettere al tempo stesso di essere “ignoranti” (e nessuno anche in una società dove la cultura tradizionale non la fa da padrona ama dichiararsi ignorante).

Poi mi sono domandato, quale potrebbe essere la domanda equivalente “scientifica”? Ovvero quale “cosa” del mondo della scienza è una conoscenza altrettanto fondamentale? Le possibilità erano tante (dalla legge di Newton, all’atomo, agli elementi, alla luce, al DNA), ma forse una domanda può essere altrettanto diretta e generale: “che cos’è un elettrone?”.
Provando però a chiedere (realmente o con un esperimento del pensiero) a chi ci circonda è forse più difficile trovare qualcuno che dia facilmente una risposta e ancor più difficile chi quasi si “vergogna” (come per Dante) di non saperla.

Così se proviamo a chiedere alla stessa persona: “Sai chi è Dante? Sai cos’è un elettrone?” probabilmente (verificando la correttezza delle risposte) potremmo avere una fotografia di quanto sia enorme lo squilibrio nelle conoscenze. E di quanti pochi, a tutti i livelli culturali (escludendo ovviamente i pochi professionisti), sappiano cosa sia un elettrone. Certo, lo si è incontrato (si spera) nei corsi di scienze a scuola, ma poi lo si è presto dimenticato. Anche perché non c’è stato poi nessun comico che l’ha messo al centro di uno spettacolo di successo. E questa è una chiara colpa del mondo scientifico: avere la tendenza a rinchiudersi in una torre e non spendere molte energie nella divulgazione, intesa non come semplificazione (Benigni non mette in italiano moderno la Commedia, la legge in originale e poi semmai la spiega) ma come pedagogia che suscita poi interesse e quindi studio personale.

La predominanza nel sentimento diffuso della cultura “letteraria” da quella “scientifica” è qualcosa che viene da lontano (da Gentile ai gesuiti) e non è detto che in età scolastica avere una solida formazione letteraria (e di studio delle lingue morte) sia sbagliato, anzi, spesso è alla base di una successiva formazione scientifica importante. E’ qualcosa che però andrebbe modificato nella società di oggi, dove l’educazione scientifica è non solo importante per comprendere le basi di tanti “oggetti” nuovi che ci circondano (perché la scienza aiuta la tecnica ma ne differisce non di poco), ma è soprattutto fondamentale per formare cittadini più autonomi e consapevoli. Cittadini che imparino a dubitare e domandare, piuttosto che seguire mode o credenze. Per cittadini che siano scomodi e non sudditi.

Si potrebbe dire che Dante rappresenta la nostra cultura ben più della conoscenza di una particella. E’ forse vero, ma questo nasconde due “trappole”. Per prima cosa rappresenta la cultura italiana, europea, occidentale. E’ importante, fondamentale per leggere e godere della realtà che ci circonda, ma se chiediamo ad un giapponese o ad un indiano chi è Dante le probabilità di avere una risposta saranno chiaramente molto minori (e probabilmente più risposte positive sull’elettrone). D’altra parte quanti considerano una “grave ignoranza” non conoscere il Mahābhārata? Conoscere un costituente fondamentale di tutta la materia che ci circonda (la stessa qui e in India o Giappone) è quindi più “internazionale” (e unisce di più le culture diverse, direttamente). E questo non è tanto importante in sé (ovvero non c’è una classifica di importanza sull’estensione geografica delle conoscenze) ma perché andando in profondità sull’uguaglianza di un elettrone in Italia e in India si superano con disarmane semplicità tanti di quei preconcetti e tante di quelle divisioni culturali che stanno avvelenando i nostri giorni.

Ma ancor di più, dire che una “particella” non rappresenta la nostra cultura è anch’essa una trappola, lasciata da chi occulta le scoperte scientifiche come qualcosa in perenne bilico tra la magia e la tecnica. Perché la scienza è parte integrante della cultura, occidentale e umana, e, come diceva Claudio Magris alcuni giorni fa, gli intellettuali sono coloro i quali trasmettono il sapere, qualunque esso sia.

Per concludere, cambiare secoli di dominio culturale (inteso non tanto come predilezione dell’insegnamento letterario, ma soprattutto come non identificazione dell’ignoranza scientifica) non è cosa che si fa in pochi giorni, ma questo non deve essere un alibi per cercare di diffondere la cultura scientifica, magari con l’aiuto un Benigni dell’elettrone. Perché con il progresso della scienza si sta assistendo anche ad un sempre maggiore distacco della scienza dalla società e una ignoranza che è facile preda di “approfittatori” del dubbio che riescono a mettere sullo stesso piano il “dubbio scientifico” con le posizioni a-scientifiche, come avviene per esempio in USA dove l’insegnamento del creazionismo (mascherato come intelligent design) si vuole da tanti far diventare obbligatorio e addirittura sostitutivo dell’evoluzionismo (e la differenza semantica della parola teoria tra scienza e linguaggio quotidiano aiuta questo equivoco).

E perché magari grandi incomprensioni culturali e religiose tra popoli forse possono trovare un seme di salvezza proprio nel piccolo elettrone.

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