Sarkozy "caccia" i Rom, gli zingari, i nomadi. Rom, rumeni, popoli slavi. Molto differenti per storia, religione, lingua eppure accomunati nell'immaginario occidentale.
Le "istituzioni" europee stigmatizzano (giustamente) questo atteggiamento che, senza mezzi termini, è razzista e prevaricatore. Proto-nazista. E' sempre infatti bene ricordare che le popolazioni zingare sono state decimate dal nazi-fascismo. La persecuzione contro di loro non è stata seconda a quella contro gli ebrei. Eppure nell'immaginario occidentale gli ebrei sono riusciti, fortunatamente e giustamente, ad "uscire dal ghetto culturale" in cui li avevano condotti secoli di stigmatizzazioni religiose e sociali (gli ebrei non erano solo "deicidi" ma anche "usurai", "commercianti", "ricchi sulle spalle degli altri"). Al contrario gli zingari sono sempre restati ai margini, in una nebulosa confusa di etnie, lingue, religioni. Ci sono zingari con la nazionalità italiana e spagnola, anzi con qualcosa di diverso di una nazionalità. Con l’abitudine a vivere nelle terre d’Italia e Spagna vagando come clan, come gruppo. Ci sono poi zingari dell’Est. Zingari, Rom, nomadi. Per definizione, ma più per gli eventi della storia senza una nazionalità forte a preservarli formalmente, pur accomunati dall’emarginazione. Popolo, anzi popoli, senza stato. Per questo quando le nazioni si ripiegano su loro stesse e cercano un nemico per identificarsi e non possono sfogare la propria frustrazioni in guerre tra nazioni allora si genera il disagio verso i corpi estranei che possono definire al proprio interno. Un corpo estraneo che in questo caso non è minoranza nazionale all’interno di una nazione e per questo ancora più debole. Non sono i Baschi di Spagna o gli Ungheresi di Slovacchia. Sono una non-nazione. E sono anche persone che vivono separati non solo dal concetto di stato-nazione (ma non di comunità, anzi sono molto più “con” nel quotidiano di tanti abitanti delle grandi metropoli del luminoso occidente) ma anche da quello di residenzialità. Nomadi che si confondono con poveri. Nomadi e poveri, anzi, uno affianco all’altro, spesso forzatamente. E non poche sono infatti le tensioni tra i gruppi che involontariamente si ritrovano gli uni sugli altri. Guerre tra poveri, echi di scontri secolari tra popoli. Con nazioni perse o senza nazioni. Infatti la guerra dei benpensanti ai cosiddetti Rom è la repulsione verso un diverso che è vicino. Contro una delle possibile strade che avremmo potuto perdere. E’ anche la repulsione verso il povero, verso chi non è inserito nella società. Non distinguendo chi ha una storia secolare di nomadismo e chi è semplicemente povero, disperato, che viene nella ricca parte d’Europa per fare il muratore, per vivere, mangiare, e trova da dormire sotto un ponte, in una stazione, negli anfratti dimenticati delle città, in quella zona di frontiera tra i centri cittadini fatti di antichi palazzi e le periferie delle ridenti villette autonome.
Rifiutati da tutti, senza esclusioni. Per questo, Sarkozy e Berlusconi possono contravvenire al politically correct perbenista, possono prendersi senza alzare un sopracciglio gli attacchi e le critiche di Barroso, della Merkel, di una commissaria europea che viene da un paese ultra-ricco come il Lussemburgo. Infatti, lavatasi la coscienza con una critica, chi veramente difenderà i Rom, gli zingari, i nomadi, i poveri, i senza casa? Chi accetterà che il nostro sistema può produrre nel suo seno le bidonvilles che sembrano esotiche manifestazioni di Africa, Asia, Sud America? Qualche gruppo isolato sicuramente, e meritevolmente. Ruota di scorta della coscienza di una società che nel profondo ha bisogno di vedere i paletti che la identificano e riconosce gli zingari come al di là del confine che definisce il proprio essere.
Sarkozy e Berlusconi sanno bene che le società occidentale sentono “repulsione” verso il mondo vasto degli zingari. Chi quando sale in autobus non si tocca istintivamente la tasca dove ha riposto il portafogli, o non stringe la borsa, quando un bambino zingaro sale in vettura? Chi non prova sollievo quando una mamma, giovanissima, vestita con larghe gonne sovrapposte e un bambino che allatta, non ci si siede affianco ma passa oltre? Pochi forse lo ammetteranno in pubblico, e questo non è diverso dall’ipocrisia di Barroso, Merkel, Reding, ma non provoca disagio la povertà? Non provoca disagio la vita nomade? Nomadi, zingari. Vivere senza casa, in movimento. Un ideale romantico che frana in baracche, roulottes, sporcizia.
Repulsione. Qualcuno ha detto che quando proviamo nei confronti di qualcosa una repulsione e un disgusto fisiologico, spesso è perché questo è la proiezione negativa dell’immagine di noi stessi. Negativa rispetto al nostro schema di valori: lavoro, casa, igiene, benessere. Ma anche negativa rispetto a un fondo di delusione. Il sogno romantico dell’avventura che finisce in rivoli maleodoranti tra fango e lamiere. Il disagio che provochiamo verso zingari e poveri all’interno della nostra società, disagio che spesso si tramuta in violenza, che viene dal profondo di noi stessi, individualmente e collettivamente. Il “pericolo” viene trasfigurato in paura per le cose, per furti, violenze (ricordiamo la violenza del rumeno a Roma che fece pendere definitivamente la bilancia verso Alemanno?) da chi sapientemente manipola l’opinione pubblica, sapendo che nel profondo ci sono paura e disagio, repulsione, che vengono da lontano. Dalla definizione stessa di “normalità” che ci siamo dati come società benestante occidentale.
Repulsioni che facilmente, inevitabilmente, diventano espulsioni. Nell’inevitabile silenzio collettivo.
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