sabato 15 settembre 2012

Per Vedrò2012 - Sull’attrattività dell’Italia nella ricerca scientifica



Sono stato chiamato ad intervenire a Vedrò2012 a proposito dell'attrattività dell'Italia verso i cosiddetti "talenti" (non intesi come quelli di una famosa parabola né tantomeno un quartiere di Roma). Di seguito una versione scritta abbastanza fedele di quello che ho detto in collegamento via Skype da Parigi.

Il mio contributo alla discussione sull’attrattività dell’Italia verso i cosiddetti talenti si concentrerà qui esclusivamente su un aspetto : il campo della ricerca scientifica fondamentale, e principalmente quella accademica, visto che il nodo irrisolto degli istituti di ricerca richiederebbe un capitolo a parte e ci porterebbe fuori tema.
Per comprendere come agire per agevolare l’ingresso di personale non-endogeno (ovvero sia ricercatori italiani che lavorano all’estero sia ricercatori stranieri che vogliono stabilirsi in Italia), voglio prima individuare tre aspetti che considero i limiti principali dell’attrattività dell’Italia, in ordine crescente di importanza :

1) Salari, soprattutto per dottorandi, post-dottorandi e giovani ricercatori;

2) Familismo/baronismo, ovvero la logica della coda, dell’attesa. E la circolazione dei talenti è un fenomeno che si scontra con il principio dell’attesa;

3) L’indeterminazione, l’opacità dei metodi, ovvero la mancanza di organizzazione spaziale/temporale/modale.

Prima di discutere nel dettaglio i singoli punti, bisogna ben distinguire chi nel cursus accademico-scientifico è un ricercatore e chi invece è ancora uno studente. Oramai in Italia, come in Europa, è in vigore un sistema di diplomi triennale più specialistica biennale che consente l’iscrizione al dottorato. Quindi, un laureato quinquennale italiano (che solamente in Italia ha il titolo di dottore) è ancora uno studente se si iscrive ad un dottorato di ricerca : studia per diventare ricercatore. Ma anche al livello di studenti è necessario ed auspicabile la circolazione mondiale, e l’Italia si deve poter inserire in questi circoli virtuosi. Per questo è necessario che i percorsi universitari siano meno rigidi, in primis. Ma è anche necessario considerare gli studenti come una risorsa e quindi prevedere strumenti di supporto : alloggi per i più giovani, borse di studio adeguate a partire dal dottorato. Si deve concepire un sistema per cui i migliori studenti non debbano per sopravvivere avere necessariamente un supporto familiare. Questo dovrebbe valere come principio per tutti, ma diventa una necessità per gli studenti stranieri. E infine, bisogna che il sistema prospetti loro un futuro occupazionele che sia indipendente da aiuti familiari, non solo economici, ma soprattutto di conoscenze. Il sistema italiano basato sulla famiglia, come assistenza sociale e come ufficio di collocamento, non può valere per uno studente straniero di qualità. Se vogliamo attrarli dobbiamo riconsiderare la pretesa virtuosità del sistema familistico all’italiana.
Veniamo quindi a quelli che considero i limiti principali del sistema italiano all’attrattività verso l’esterno.

Salari. La barriera dei salari è un ostacolo soprattutto per i più giovani : dottorandi (e abbiamo già detto parlando degli studenti), ma soprattutto post-dottorandi e ricercatori neo-assunti. Qui troviamo una grande differenza con l’estero : mentre un professore universitario non ha problemi economici (né in Italia né altrove), un post-doc con i livelli di salari italiani ha difficoltà a sopravvivere. E lo stesso vale per i ricercatori. Se non si hanno salari che consentono di affittare un alloggio indipendente e sopravvivere non possiamo pensare di attirare « talenti » da oltr’Alpe.

Familismo/Baronismo. Quello che frena non è la « raccomandazione » in sé, perché tutti i sistemi si basano su raccomandazioni virtuose : il proprio direttore di laurea, dottorato, post-dottorato, dipartimento, raccomanda un proprio studente o dipendente per un posto scrivendo onestamente qual è la sua valutazione sul suo operato. Ma questo principio non si basa sull’attesa. Familismo/baronismo vanno accoppiati con la logica perniciosa della coda. Quel principio per cui si sceglie (spesso incosapevolmente, casualmente) la propria carriera accademica eventuale quando si fa la tesi di laurea. A quel punto si aspetta che chi è davanti temporalmente progredisca per poter a propria volta avanzare. Uno straniero rompe questo sistema. O meglio per poter entrare deve rompre il sistema e può, una volta assunto un ruolo decisionale, verosimilmente non riprodurlo. Può diventare un elemento esterno che non ragiona secondo la logica dell’attesa. Il sistema della coda, che tanto si critica a parole, è però molto più difeso nei fatti di quanto non si voglia ammettere. Quindi è bene che ci si rivolga questa domanda : siamo disposti a che qualcuno più bravo ci passi avanti per merito ? Un « precario della ricerca » accetterà mai che, quando quel posto per cui ha atteso facendo « mille sacrifici » (ovvero accettando di essere sottopagato e senza libertà scientifica anche a quell’età accademica in cui i propri colleghi stranieri coltivano mille collaborazioni ed elaborano nuovi progetti) sta diventando reale, venga invece poi dato ad un brillante ricercatore straniero (italiano o no) ? Il concetto di graduatoria permanente è pervasivo della società italiana. Chi non ha il posto direttamente da un concorso ma viene classificato in Italia è abituato a dover semplicemente aspettare. In Francia invece, per esempio, il CNRS (il Centro Nationale della Ricerca Scientifica), come anche le Università, bandiscono posti ogni anno, esiste uno o più vincitori (in base al numero di posti banditi) e una classifica molto limitata in cui vengono classificati quanti, pur non avendo il posto, hanno meritato. Questi però sono una scorta nel caso in cui il vincitore non dovesse accettare il posto dopo pochi mesi. Una volta che i vincitori hanno accettato questa classifica finisce e chi non ha vinto dovrà ripresentarsi ad un prossimo concorso, ripartendo da zero come tutti gli altri. Semplice e rivoluzionario.

Insicurezza spaziale/temporale/modale. Per mancanza di sicurezza intendo mancanza di organizzazione e certezza su come, dove e quando si può ottenere una posizione nel sistema accademico o della ricerca italiana. Sicurezza che è fondamentale per attrarre ricercatori dall’estero. La mancanza di informazioni certe è il primo problema : tutto si conosce principalmente per passaparola, non esiste un sito dove sono centralizzate tutte le informazioni né tantomeno un calendario unico con cadenza annuale. Non si sa poi né quando i concorsi vengono banditi né quanto durano. Un ricercatore straniero che vuole venire in Italia non lo farà certo come un questuante in attesa che il magnanimo principe gli elargisca il proprio favore. Dovrà programmare la propria vita personale e professionale. E dovrà anche sapere come avviene la procedura di selezione. Un esempio opposto a quello italiano è ancora il sistema francese cui il nuovo meccanismo di idoneità sembrerebbe essersi ispirato. In Francia infatti, le Università e il CNRS bandiscono i posti con cadenza annuale con un calendario chiaro e rapido (la procedura dura al massimo da natale a maggio), perché i vincitori di concorso possano prendere servizio a settembre (ottobre per il CNRS) o a gennaio per alcuni posti universitari. Una procedura che è sempre la stessa ogni anno. La mancanza di certezza e di chiarezza nelle modalità è chiaramente un freno a che ricercatori dall’estero (italiani e non) possano seriamente prendere in considerazione la possibilità di venire a lavorare in Italia.

Per cercare di contribuire a migliorare l’attrattività dell’Italia, quattro anni fa insieme ad altri colleghi in Europa, abbiamo lavorato con la deputata della circoscrizione Europa del PD l’On. Laura Garavini per confezionare quella che è poi diventata la proposta di legge PRIME, legge che tutt’oggi in commissione cultura alla Camera. Una proposta di legge nata sotto il governo Berlusconi che quindi che non poteva essere una rivoluzione totale, ma voleva mettere un seme nel sistema. Un progetto che è ancora attuale e che sarebbe facilmente collegabile con la riforma dell’Università (la cosiddetta « Riforma Gelmini ») e con l’accresciuto ruolo dell’European Research Council.

Per finire, a mio parere quello che serve è che i nuovi governi e i nuovi ministri non rivoluzionino tutto ogni volta perché non è di grandi cambiamenti e lunghi periodi di incertezza (e opacità) che ha bisogno il sistema universitario per aprirsi all’esterno, ma di organizzazione, di pianificazione e di poter scegliere, di poter esercitare il giudizio, un giudizio che non è necessariamente discrezionalità baronale ma è, e dovrebbe essere, responsabilità delle proprie azioni.

Nessun commento: