lunedì 31 ottobre 2011
L'Aquila - Bologna - Firenze, da qui passa il tunnel del PD
Con la Leopolda si è chiuso un mese denso di incontri di giovani del PD. Il tutto era iniziato il 16 ottobre a L'Aquila con i cosiddetti "giovani turchi" capitanati dal responsabile economia del PD Stefano Fassina. Un incontro passato quasi sotto silenzio, sia perché ha coinciso con i fatti del 15 ottobre, sia perché in sé molto poco mediatico. Una di quelle kermesse vecchio stampo cui ha cercato di dare un po' di risalto la sola Lucia Annunziata nella sua trasmissione In mezz'ora, ma anche lei ha dovuto incanalare l'intervista a Fassina e soci alla manifestazione degli indignati.
La settimana successiva è stata la volta di Bologna, dove Pippo Civati e Debora Serracchiani hanno chiamato a raccolta per il rinnovamento del PD in un luogo aperto, un tendone in piazza Maggiore. "Il nostro tempo" ha voluto rilanciare il centrosinistra come soggetto unitario, rompendo i tatticismi sulle alleanze e rimettendo in piedi il progetto originario del PD come cardine del centrosinistra. Molto seguita in rete, aperta a chi voleva inervenire (ad ognuno erano dati circa 6 minuti di tempo) non era molto dissimile come formato dall'ultimo incontro, il "Big Bang" di Renzi.
L'evento di Bologna, molto seguito in rete, ha avuto però molta poca risonanza sui media tradizionali.
Al contrario invece della Leopolda di Renzi. Quest'ultimo incontro, costruito sullo stesso formato di Bologna, formato che possiamo dire fu battezzato da iMille nel 2008 con "Uccidere il padre", ripreso dalla Carovana di Civati e Scalfarotto nel 2009, raggiunto il suo apice al Lingotto 2 del giugno 2009, continua ad essere riproposto in molti incontri "orizzontali". Peccato che quando è fatto proprio da un movimento collettivo o da un evento che vuole battezzare qualcosa ha un senso, ma quando serve per "incoronare" un leader assume toni ben diversi. E' indubbio che Renzi ha saputo mettere a frutto le esperienze di questi cinque anni dei rinnovatori, costruendo un evento meno spontaneo e di maggiore riuscita mediatica. Due giorni fiorentina che culmina con l'intervista di Fazio a Chetemmpochefa allo stesso Renzi. Scacco.
Così un nuovo attore è ufficialmente e pienamente sul terreno, sparigliando gli altri innovatori (Civati ha fatto una mossa mediaticamente azzeccata nell'andare a sorpresa a Firenze ma politicamente superflua) ha messo in chiaro le contraddizioni di lunga data del PD: è un partito socialdemocratico di massa (come piace a Bersani, anche se non si capisce allora perché sono stati sciolti i DS) o un nuovo partito all'americana, sia nelle forme che nei contenuti?
E veniamo quindi al tunnel che questi eventi stanno facendo imboccare al PD: quello della sua posizione sui temi del lavoro e dello sviluppo. Sacconi infatti annuncia che il governo vuole fare propria una proposta di legge depositata da Ichino e altri 50 sentori del PD due anni fa. Nessuno dice di che si tratta (la si può leggere sul sito di Ichino dove lo stesso senatore ne fa anche un'ottima sintesi), il circo mediatico riprende la parte dei cosiddetti licenziamenti facili (quando se si legge bene l'impossibilità di licenziare senza giusta causa, ovvero articolo 18, resta) dimenticando alcuni principi: (i) vale per i nuovi assunti; (ii) esiste solo il contratto a tempo indeterminato (esclusi lavori stagionali e supplenze), (iii) ai lavoratori in uscita si garantisce un sistema di assistenza e riqualificazione (simile all'assurance chomage francese, per intenderci).
Un programma che non si può non definire sociale e progressista (e anche di sinistra), ma che il PD non ha fatto proprio (al contrario di quanto fatto ieri stesso da Renzi), preferendo la mozione Fassina alla conferenza sul lavoro di Genova. Mozione Fassina sconosciuta ai più, come tutti i documenti ufficiali del PD. E il sagace Fassina ha subito emanato un comunicato tra il patetico e il grottesco (ne cito un passo: La ricetta di moda nell’ultimo quarto di secolo, riassunta nella proposta di legge del senatore Ichino e ripresa oggi alla Stazione Leopolda, è alternativa, per impianto culturale e misure specifiche, al programma del Pd sul lavoro e lo sviluppo, approvato all’Assemblea Nazionale di Maggio 2010 e alla Conferenza Nazionale per il lavoro di Genova a giugno scorso).
Così quando Renzi parla di "giovani burocrati" il pensiero non può che andare a quanti sembrano scimmiottare metodi da PCUS, gli uni e gli altri iniziando una guerra prematura ma forse inevitabile nel centrosinistra.
Riuscirà il centrosinistra ad uscire in tempo da questo tunnel per non perdere anche le prossime elezioni?
domenica 30 ottobre 2011
Non regaliamo Ichino a Sacconi
Anche se non sono un liberale sfegatato, anzi proprio perché non mi sento un iper-liberista, penso che regalare Ichino a Sacconi sia un danno enorme.
Questo sta avvenendo a partire dalla mistificazione che il governo sta facendo della proposta di legge di Ichino sulla flex-security (che si può trovare sul sito di Ichino), gioco che stanno assecondando Fassina e la Camusso.
Per questo sottoscrivo l'appello lanciato dal blog de iMille.
Lo riporto anche qui:
Dopo anni passati a fare niente, il governo ha annunciato, con “curiosa” e infelice scelta di tempi, di voler mettere mano ad una riforma del mercato del lavoro. La scelta dei tempi è curiosa, si diceva: parlare di deregolamentazione del mercato del lavoro (art. 18 dello Statuto dei Lavoratori) e di libertà di licenziamento nel bel mezzo di una crisi è come scegliere di far decollare una mongolfiera in una tempesta di fulmini. Il governo ha anche pochissime idee, e lo si vede dall’intervista del Ministro Sacconi al Corsera. Il mercato del lavoro italiano necessita di una riforma complessiva e strutturale. Ma mentre, per vie parallele, Pietro Ichino e Tito Boeri studiavano con attenzione per anni come mettere mano al problema del precariato, affrontare il dualismo del mercato del lavoro italiano e garantire al contempo flessibilità alle imprese e tutele ai lavoratori, il governo dormiva sonni pesanti. Il risultato è che oggi la maggioranza ripropone l’ennesima battaglia campale su un singolo articolo, aggredisce il problema dei vincoli ai licenziamenti, senza parlare di riforma complessiva dei contratti, di riforma degli ammortizzatori sociali, di formazione e assicurazione dei lavoratori.
Di fronte a tanta miopia, osserviamo però con preoccupazione quello che accade nel PD e dintorni. Invece di cogliere al balzo l’occasione e contrappore alla miopia del governo una visione moderna e unitaria di riforma, proprio sul tema del lavoro il PD rischia di spaccarsi. Mentre Pietro Ichino viene oggi contattato da Sacconi per sedersi ad un eventuale tavolo di lavoro e Matteo Renzi alla Leopolda sposa esplicitamente la proposta di riforma di Ichino, il responsabile economico del PD Stefano Fassina critica Ichino con queste parole: "La disponibilità espressa da qualche parlamentare del Pd sulla proposta del governo sui licenziamenti è a titolo esclusivamente personale. Non vi può essere alcuna intesa bipartisan sull’ulteriore facilitazione dei licenziamenti per il semplice motivo che è una proposta ideologica, dannosa ai fini della crescita, finalizzata ad indebolire i sindacati, quindi a ridurre il potere contrattuale dei lavoratori, le retribuzioni e le condizioni di lavoro di padri e figli. Qualità e quantità di lavoro sono variabili dipendenti di politiche macroeconomiche espansive, riforme strutturali, redistribuzione del reddito e della ricchezza. Vedere gli Stati Uniti per credere. La ricetta di moda nell’ultimo quarto di secolo, riassunta nella proposta di legge del senatore Ichino e ripresa oggi alla Stazione Leopolda, è alternativa, per impianto culturale e misure specifiche, al programma del Pd sul lavoro e lo sviluppo, approvato all’Assemblea Nazionale di Maggio 2010 e alla Conferenza Nazionale per il lavoro di Genova a giugno scorso. Il Ministro Sacconi non si illuda."
Il PD non dovrebbe far sentire Pietro Ichino come un ospite poco gradito del partito e definire una proposta di riforma articolata e pensata come quella di Ichino come un “residuo dell’ultimo quarto di secolo”. E Bersani farebbe secondo noi una cosa sensata se smorzasse queste dichiarazioni di Fassina e convocasse lui un tavolo del lavoro, a cui far sedere anche Ichino (prima che lo faccia Sacconi). Quantomeno perché è chiaro che le posizioni di Ichino non sono “posizioni esclusivamente personali”, ma riflettono la visione di un’anima importante del partito, come si è visto anche alla Leopolda. Il tema del lavoro rischia di essere un iceberg su cui il PD e più in generale il centro-sinistra può andare a sfracellarsi. Adoperiamoci perché ciò non accada.
E concludo con un commento sullo stile di Fassina da membro del politburo del PCUS ...
sabato 29 ottobre 2011
Non ha convinto nessuno
Ieri un Berlusconi oramai al dessert alla conferenza del commercio con l'estero si è lasciato sfuggire il suo pensiero (o meglio una riflessione probabilmente sfogo per come lui e l'Italia sono, a ragione, considerati in Europa e nel mondo), che conoscete oramai tutti: "l'Euro non ha convinto nessuno".
Dichiarazione che subito dopo, grottescamente come al solito, ha "smentito", utilizzando (e non poteva fare altrimenti, solo cinque minuti prima l'avevamo sentita dalle sue labbra) l'artificio mistificatorio a lui tanto caro del "travisare il pensiero", azione tipica di oppositori in malafede (che poi anche questo cosa vorrà dire ...).
A parte i motivi ovvi che portano Berlusconi a pensare e dire ciò, perché nonostante la smentita il sasso l'ha lanciato, diretto al suo elettorato, sasso che tradotto dice "siamo così per colpa dell'Euro, i sacrifici sono colpa di Bruxelles e di chi ci ha fatto entrare (quei comunisti della sinistra), il tutto per una cosa inutile oltre che dannosa", mi domandavo: se Merkel o Sarkozy avessero detto una cosa del genere che sarebbe successo? Un finimondo in Europa e nel mondo.
Invece l'ha detto un vecchio priapico rimbambito, che tra un'orgia e l'altra, si fa qualche viaggetto a Bruxelles a portare delle lettere cui nessuno crede, ma verso cui tutti mostrano accondiscendenza di facciata (un po' come con lo zio arteriosclerotico).
Insomma, spara cazzate a raffica, una più, una meno che importanza potrà mai avere?
giovedì 27 ottobre 2011
A lettera
Ieri è finalmente partita (e arrivata immagino; posta celere? piccione viaggiatore?) la lettera di intenti del governo all'Unione Europea. Il testo integrale si può trovare, tra l'altro, qui.
Ci sono un paio di passaggi che mi paiono "curiosi". Non saprei come definirli altrimenti, paradossali, assurdi, allucinanti. Eccoli, trovatelo voi il modo migliore.
Intanto uno dei primi passaggi recita:
Nei prossimi 4 mesi è, ad ogni modo, prioritario aggredire con decisione il dualismo Nord-Sud che storicamente caratterizza e penalizza l’economia italiana. Tale divario si estrinseca in un livello del Pil del Centro-Nord Italia che eguaglia il livello delle migliori realtà europee, e quello del Mezzogiorno, che è collocato in fondo alla graduatoria europea.
Cioè risolvere la questione meridionale, vecchia di 150 anni, in 4 mesi. Cavolo, potevano pensarci prima! Ma poi come, di grazia? Chissà come hanno sghignazzato i ministri della Lega leggendo. O forse è uno di quei tipici scherzetti della strana coppia Bossi-Calderoli.
Non è che poi scorrendo sia meglio. Mi sembra una lista di speranze, un vagheggiare di principi senza dire cosa e come, con delle scadenze talmente ravvicinate che nessuno può crederle realistiche. Declinano anche 9 punti su cui provano a spiegare qualcosa.
Iniziano con una roboante (e anche un po' triste) "Promozione e valorizzazione del capitale umano". Ovvero? In pratica si tratta dell'INVALSI per la scuola, dell'ANVUR per l'Università e una promessa di emanare i decreti attuativi della riforma Gelmini. Fatta quasi un anno fa, ma di cui pare manchino il 50% dei decreti attuativi, ciò che non si è fatto in 10 mesi lo fanno in 2, staremo a vedere, anche perché tutta la riforma sta nella sua applicazione. Interessante sapere che per il governo scuola, università e ricerca sono "capitale umano". Il Capitale in salsa Gelmini, insomma.
Si passa poi al "mercato del lavoro", quattro righe in croce meno di quanto Lupi dice a Ballarò, segue l'"apertura dei mercati in chiave concorrenziale", si parla di ordini ma il tutto resta fumoso, e i punti successivi continuano sulla stessa lunghezza d'onda.
Sembra un mix tra una pubblicità dei "pannicelli caldi" del governo e una blanda propaganda elettorale (si vede che sono in fase calante, non riescono neanche a fare un manifesto elettorale roboante ...).
Certo l'Europa ha detto che gli va bene, e che poteva dire? No grazie, lì c'è la porta?
"Una risata li seppellirà", come direbbe in questi giorni Sarkozy se non avesse le banche francesi enormemente esposte verso il debito italiano.
martedì 25 ottobre 2011
Casa Santa ... mai cambia
Sono stato a Trapani per i 100 anni di mia nonna, dove mancavo da esattamente 10 anni. La città, o meglio il centro storico, è molto cambiato: zone pedonali, palazzi puliti, bar, caffé, ristoranti con i tavolini che hanno trasformato il centro storico da luogo di caos e sporcizia a vero salotto. Questo unito al fatto che l'aeroporto di Birgi è diventato uno snodo centrale di una famosa compagnia aerea low-cost irlandese, ha enormemente incrementato il turismo locale.
Quindi, finalmente, una bella sorpresa. Non sono in pochi a venire da Parigi, Goteborg, Amsterdam fino a qui, magari solo di passaggio per prendere un traghetto per le isole o per una crociera nel mediterraneo, o proprio appositamente per un week-end tra cultura (Segesta, Mozia, Erice) e tradizioni enogastronomiche.
Anche la via dello shopping principale, via Fardella, è un fiorire di negozi e bar (questa non è pedonale, è un grande stradone di scorrimento che collega il centro al resto della città).
Come dieci anni fa, sono andato nella palazzina che sorge dove una volta c'era la vecchia casa delle zie di mio padre, e dove i miei zii abitano. A Casa Santa, appunto. Ufficialmente nel comune di Erice ma di fatto sotto la montagna. Bene, o meglio male, qui, come anche nei limitrofi quartieri del comune di Trapani (rione Palma, sant'Alberto etc ...), nulla sembra essere cambiato in dieci anni.
Tutto uguale, caotico, senza strisce pedonali, le stesse case vecchie, le stesse strade sporche.
Insomma, il tempo sembra non passare a Casa Santa.
lunedì 24 ottobre 2011
Politica universitaria
La settimana scorsa ci sono state ad Evry le elezioni "indirette" per il nuovo presidente (qui si chiama così, non rettore). Indirette perché si vota per i membri di vari consigli (amministrativo, scientifico etc ...) che poi eleggono il presidente (e il consiglio amministrativo è quello che ha il peso maggiore in queste elezioni).
Il presidente uscente con la sua lista era dato come sicuro vincente e infatti non c'era molto fermento. Qualche mail, qualche noiosa e inutile riunione, insomma nulla di avvincente. E infatti non me ne ero molto interessato (poi io non sono dipendente dell'Università, anche se ho diritto di voto). Invece ora sembra arrivare il bello. Pare infatti che la lista "dissidente", che si chiamava "Rinnovamento", che aveva come piattaforma principale quella di manifestare scontento nei confronti dell'amministrazione uscente ha avuto un enorme successo, che nessuno si immaginava, così che i due gruppi hanno un numero uguale di rappresentanti. I "dissidenti" erano i primi a non aspettarsi questo successo, tant'è che non avevano un leader che proponevano (anche se non si propone esplicitamente) come presidente.
Ora il presidente uscente pare non voglia scendere a compromessi con i dissidenti (che pare fossero disposti a votarlo in cambio di qualche vice-presidente) e cercherà i voti di due rappresentanti degli studenti.
E dovrà tentare di governare poi l'Università con una maggioranza risicata, in un momento cruciale quale è questo. Infatti in Francia è appena passata la legge sull'autonomia delle Università e quindi sono necessarie politiche più aggressive. Una linea politica che sarà difficile attuare così. Un immobilismo molto probabile che rischia di essere letale.
Vi ricorda qualcosa?
domenica 23 ottobre 2011
Da Erice - 1
Appena tornato da Erice, dove sono stato tre giorni per festeggiare i 100 (si 100!) anni di mia nonna, grazie alla comoda tratta diretta Parigi (Beauvais) - Trapani.
E grazie al volo, sono riuscito a portare degli ottimi dolcini ericini e frutta di martorana (oltre a mustazzoli, busiati e lingue di passero) fin qui sopra a Paris.
Li mangio e poi magari ne racconto un po' di più di Erice-Trapani, da cui mancavo da esattamente 10 anni (all'epoca festeggiammo i 90 anni della stessa nonna ...)
mercoledì 19 ottobre 2011
Il libro del Tao
Come ho detto ieri, uno dei "lasciti" del viaggio coreano è stata la curiosità di provare a capire un po' il modo di pensare orientale. Così appena tornato un libro che ho comprato è stato il famoso libro del Tao (Tao-teh-ching), di Lao-tzu, nell'edizione Newton, curato e tradotto da Girolamo Mancuso.
Fare una "recensione" del libro più letto e tradotto della cultura cinese è sicuramente al di là non solo di questo blog ma anche della possibilità intrinseca di farla senza riscriverlo. Ho citato il curatore e traduttore, perché oltre agli 81 capitoli (non vi spaventate, ogni capitolo è formato da poche righe) importanti sono l'introduzione per inserire nel contesto storico l'opera e le note della traduzione. Infatti è un libro "oscuro", che procede per massime, brevi frasi concise e dense, e per questo da molti è considerato "intraducibile". Per afferrarlo bisognerebbe leggere tutte le traduzioni esistenti e quelle che devono essere ancora fatto, viene annotato nell'introduzione (un modo simpatico anche per mettere le mani avanti), ma certamente da qualche parte bisognerà pur cominciare, pienamente in linea con Lao-tzu, Un albero che un uomo riesce appena ad abbracciare è nato da un ramoscello sottile come un pelo.
Sicuramente molto interessanti sono le ambiguità sintattiche insite nel cinese e più in generale il differente schema mentale insito in una lingua ideogrammatica. Peccato insomma di non sapere il cinese per poterlo comprendere appieno. Ma va bene sicuramente anche così, perché non è un libro da comprendere.
Le mie parole sono molto facili da capire, molto facili da mettere in pratica - eppure non c'è nessuno al mondo capace di capirle, capace di praticarle.
Un libro che una volta letto può restare tranquillamente sul comodino.
martedì 18 ottobre 2011
Stipendi dei parlamentari?
Visto che secondo il sondaggio presentato or ora a Ballarò pare che la maggioranza degli intervistati pensa che ridurre il numero dei parlamentari sia la cosa più importante per ristabilire l'economia italiana, allora ho fatto due conti.
Considerato che i parlamentari sono circa mille (630 deputati, 315 senatori più senatori a vita e di diritto, ovvero poco più di 950), pensiamo di dimezzarli (ipotesi più radicale). Ovvero leviamo 315 deputati e 157 senatori, considerando che un deputato ha uno stipendi di circa 15000€ al mese e un senatore 17000, significa un risparmio mensile di 7394000€. Ovvero in un anno siamo a poco meno di 89 milioni di euro.
Direte ma tutti i biglietti di aerei, treni, e i vari "privilegi". Ok, raddoppiamo e arrotondiamo: 200 milioni di euro.
Ora, sapete qual è il debito pubblico italiano? 1.899.553 milioni di euro, si quasi 2 milioni di milioni (che è un fantastiliardo?), e quindi il risparmio sarebbe pari allo 0.01%, meno di una goccia nel mare.
Dalla Corea (20) - Conclusioni
Oramai sono tornato in Europa da quasi un mese e ho il necessario “distacco” per delle brevi conclusioni finali che qualcuno mi chiedeva. Due settimane intense, in “full immersion” in un paese lontano, diverso, ma non del terzo né del secondo mondo, un paese che si è sviluppato tantissimo in questi ultimi anni, fondendo i nostri canoni di “sviluppo”, ovvero lo sviluppo industriale e post-industrale/tecnologico, alle tradizioni della cultura del grande oriente. Due settimane non da turista, o per una visita congressuale, ma vissute dentro un campus coreano in una città di provincia, dove ho mangiato nei ristoranti dei coreani, seduto a volte anche come un coreano, dove sono andato in un’Università completamente coreana, tra studenti curiosi che mi guardavano come un “marziano”. Poter vedere, toccare per mano, al di là di sterili statistiche e di commenti di esperti che non hanno mai messo piede in Asia, cosa sono le tigri asiatiche, cosa vuol dire il lavoro e il futuro in quella parte del mondo, come siamo marginali noi qui in questo vecchio e stanco continente per il miliardo di persone che vive in quella zona della terra, che si produce tutto in casa, lasciandoci solo la banderuola della moda - nel senso largo di cosa è “à la mode”, e quindi di cosa è di lusso.
Ho detto del modo di lavorare - per quello che ho potuto vedere - che è piuttosto diffuso anziché intensivo, della cucina, delle case o meglio palazzi che si ergono sterminati, formando come delle moderne grandi muraglie, contenendo le città e sbucando dalle verdi montagne, dei templi, di Seoul, della lingua, delle feste tradizionali, della televisione, dell’amore per le canzoni e di quello che ho potuto vedere e immagazzinare. Ovviamente sono tornato con un bel libro buddista (in realtà l’ho comprato in inglese quando sono tornato a casa, il coreano mi risulta un po’ troppo ostico) che mi ha consigliato Ki e con qualche storiella Zen (o meglio Seon) verace.
Non so quando ritornerò in Asia, quando soprattutto potrò farlo vivendo quasi completamente il quotidiano. Intanto spero che quei pochi lettori abbiano gradito queste righe sia quelle che ho scritto durante il mio soggiorno, a caldo, ogni sera prima di andare a dormire nella spartana stanza riservata agli ospiti della KNUE, sia queste ultime riflessioni conclusive, scritte con un po’ di distacco.
Se mi chiedete una riflessione finale, unica, conclusiva, non so cosa dirvi, condensare tante esperienze e considerazione in un’unica frase, in un unico attributo. Quindi non posso non chiudere con le parole di un poeta cinese, Bai Juyi:
“Chi parla non sa,
chi sa non parla”
Si dice che queste parole
le abbia scritte Lao-tzu.
Se dobbiamo credere che Lao-tzu
fosse uno che sa,
come mai scrisse un libro
di cinquemila parole?
sabato 15 ottobre 2011
15 ottobre visto da lontano
Oggi doveva essere un tranquillo sabato d'autunno, pesce, carne e un po' di verdure al marché d'Aligre, un bel cielo terso e aria fresca e frizzante (12°), quando dopo il TG delle 14 passo un attimo su RaiNews24 e scopro che c'è la diretta della succursale italiana/romana degli indignati - anzi fino ai TG non sapevo neanche di questa "giornata globale" che è paradossalmente contro la "globalizzazione" (che poi è una frase che non vuol dire nulla e mi ricorda la stupidata di Montebourg della de-mondialisation).
Così da lontano ho potuto assistere alla manifestazione romana e ovviamente agli scontri, grazie allo splendido servizio di RaiNews24 che ha riportato fedelmente l'evolversi del corteo, i primi fuochi in via Cavour fino agli scontri di piazza San Giovanni.
Sul rapporto tra movimentismo e progressismo ho già detto e discusso qualche giorno fa sul blog de iMille, e penso che quelle riflessioni siano indipendenti dagli effetti dei tafferugli sui movimenti e sull'opinione pubblica.
Certe cose però voglio provare a dirle dopo questa lunga giornata di tensione che ho potuto vivere da lontano, grazie all'azione integrata di TV e rete.
Non credo mai troppo ai dietrologismi e alle "infiltrazioni dei servizi" (detto anche metodo Kossiga) e tra l'altro l'insurrezione era stata annunciata. Mi sembrano piuttosto parti della società, che ogni settimana fanno questo in tutti gli stadi d'Italia, e che sono molto comuni per esempio in Francia (i casseur si "infiltrano" per dirla all'italiana pure nelle feste per le vittorie delle partite della nazionale). Ora ritorna il nome "black-block" che forse non vuole dire nulla, non vengono da Marte, mandati da qualche cattivone, servi del potere o feccia che spunta dal nulla, sono una parte ben presente e viva della società di oggi. Sono accanto a noi tutti i giorni, nelle metropolitane, tra i banchi di scuola.
Gli organizzatori poi hanno dato prova di pura inettitudine, è l'inettitudine dei movimenti "senza bandiere", il frutto delle tante sigle parcellizzate, comitati per quello e quell'altro, popoli di vari colori, l'importante che non ci sia una organizzazione (non è "dalemismo" ma una constatazione sull'oggi e su quanti compongono questi movimenti ora). Così un responsabile non si vergogna a dire che il problema è stato che la manifestazione era troppo grande. Ora io di manifestazioni oceaniche sulle stesse strade ne ho fatte almeno due, e lì si parlava di milioni di persone, non di centinaia di migliaia e non è mai successo nulla. Certo in quei casi c'erano le "guardie rosse" di CGIL-CISL-UIL, lavoratori temprati da catene di montaggio e cantieri navali, infarciti di pochi "cioè" e "probblematiche" ma più concreti. Alcuni di questi erano forse anche a Roma, ma senza che fosse riconosciuto un ruolo guida alla propria organizzazione. Anzi questi movimenti come contestano i partiti (uno degli slogan preferiti è "i partiti non li vogliamo") e la loro democrazia interna (che con tutti i difetti è pur sempre un meccanismo democratico), altrettanto fanno con i sindacati, quelli che sono invece capaci di fare manifestazioni enormi che ottengono i risultati voluti.
Fuoco a Roma
venerdì 14 ottobre 2011
Nobel per la chimica 2011: una lezione per tutti
Dopo che alcuni giorni fa avevo parlato di MacKay e del premio Nobel per la chimica 2011 assegnato per la scoperta dei quasi-cristalli, oggi ne parlo più diffusamente sul sito de iMille.
Sono di questi giorni gli annunci dei premi Nobel 2011, che come tutti gli anni si attendono con impazienza, rincorrendo voci e animando, una volta resi noti, discussioni, polemiche, a volte esultanze. In genere questo avviene soprattutto per il premio per la pace, a causa delle grandi implicazioni politiche (ricordiamo Obama nel 2009 e Liu Xiaobo nel 2010), per la letteratura, a volte per l’economia o la medicina, in qualche raro caso per la fisica. Ma già in quest’ultimo caso, trattandosi di argomenti già digeriti dalla comunità, non fa mai molto scalpore, soprattutto quando, come quest’anno, avviene pochi giorni dopo l’annuncio sui neutrini superluminali. Al massimo, quando succede, l’italianità del premiato riesce a mettere la notizia in maggiore risalto. Poi sull’argomento si riesce, talvolta, a farlo comprendere alla popolazione, in misura maggiore o minore a seconda del caso e, come è naturale, sempre in modo generico e “grossolano”. Si parla quindi di astronomia o cosmologia, oppure di materiali innovativi o circuiti conduttori. In ogni modo però la fisica la si riesce sempre a comunicare in modo direi soddisfacente al grande pubblico (anche se ovviamente facendo grandi semplificazioni).
Per continuare c'è il blog de iMille.
giovedì 13 ottobre 2011
Cartoline dalla Corea
Del mio viaggio in Corea sapete quasi tutto (e a breve farò un post conclusivo che mi hanno chiesto), e se vi ricordate ero riuscito (con un po' di difficoltà, ma con successo) a mandare delle cartoline.
Bene, ne avevo mandate tre in Italia e una in Francia. In Italia sono arrivate tra ieri e oggi (quasi un mese dopo), in Francia invece è arrivata quasi tre settimane fa (ovvero una settimana dopo averla spedita).
Certo nulla in confronto al disagio postale riportato qui, però se una cartolina ci mette il triplo del tempo per fare praticamente lo stesso tragitto ...
mercoledì 12 ottobre 2011
Gridando "al lupo"
Sono anni che popoli viola, dipietristi, e tanti altri ripetono il mantra "Berlusconi dimettiti". Lo facevano senza veri motivi politici e/o istituzionali prima con l'ovvio effetto che si ha "gridando al lupo" quando il lupo non c'è: una volta che arriva nessuno ti sente e il lupo ti mangia.
Ora infatti che il governo dovrebbe veramente dimettersi, perché andare sotto sulla legge di bilancio in aula a metà ottobre è una cosa inconcepibile, questi hanno "inflazionato" la richiesta di dimissioni.
E così resta lì, senza fare nulla, finché ha i soldi (e li finirà ben dopo il 2013), con un governo totalmente imbelle, atrofizzato, incapace di fare alcunché.
Se avrà, come avrà, la fiducia sarà ossigeno per un morto, che però non è tanto il governo, quanto soprattutto il paese che dovrebbe governare.
Qualcuno ha detto tempo fa che "tecnicamente" Napolitano potrebbe sciogliere le camere ravvisando inazione politica e indire elezioni. Non lo farebbe mai, anche perché sarebbe "de facto" stravolgere la costituzione e instaurare la V repubblica.
lunedì 10 ottobre 2011
Uffici postali italiani
Leggo sulla bacheca di facebook di mia madre questa "avventura metropolitana", che sarà anche riportata sul Corriere della Sera - inserto Roma dopodomani.
Per una riscossione di un rateo pensione mia madre di 91 anni si è dovuta di persona recare all'Ufficio postale indicato nella lettera di Comunicazione in quanto NON è prevista DELEGA, e preso il numeretto attendere il suo turno, circa 80 minuti. Non è disabile, ma forse è la sua stessa età che dovrebbe garantirle una corsia preferenziale, o no?!
Inutile dirvi quante coincidenze si son dovute realizzare: orario apertura ufficio postale, momentanee condizioni di salute di mia madre accettabili,tempo climatico discreto nel giorno e nell'ora, due accompagnatori disponibili, uno con funzione di autista (non esistono parcheggi nelle vicinanze del suddetto ufficio) e il secondo con funzione di accompagnatore fuori e dentro l'Ufficio postale, nonché di aiuto nel disbrigo della pratica.
Accanto a operatori scorbutici e spigolosi, incuranti e insensibili, interpellati inizialmente, abbiamo avuto la fortuna di trovare,giunto il nostro turno e arrivate allo sportello, un'operatrice paziente e tenace, che, nonostante le difficoltà a trovare nel computer il mandato in oggetto, ha insistito in vari modì finché non è riuscita a compiere l'operazione!
Un raggio di sole nelle tenebre dell'Amministrazione.
Ma non mi parlate di "semplificazione" e non prendetemi in giro con "il rispetto degli anziani"......forse in un paese civile, in Italia NO.
Chiaramente il contrasto con le poste francesi è eclatante. Ora non ho ben capito quale fosse esattamente l'operazione da fare, ma deleghe in genere sono naturali, soprattutto ai figli. Ma certo qui sotto pur andando di tanto in tanto a mandare e ritirare pacchi o raccomandate, non sono mai stato più di 5/10 minuti. E' anche da dire che a Parigi c'è un ufficio ogni 300 metri e che ha degli orari di apertura per gente che lavora, ovvero dalle 9 del mattino alle 20 (si alle otto di sera) e anche il sabato mattina.
Ma certo 80 (ottanta!!!) minuti di attesa, è veramente allucinante. Dopo essere passato per gli uffici postali francesi (e anche tedeschi, americani, coreani ...) certe volte viene difficile ritornare alle realtà italiche ... cose, è proprio il caso di dirlo, dell'altro mondo.
domenica 9 ottobre 2011
Movimentismo e Progressismo
Teodorico
Ieri dopo il film I Nibelunghi di Fritz Lang, anche sui Rai Tre si parlava di Attila e della battaglia dei campi catalaunici, dove gli Unni furono sconfitti grazie ad una grande alleanza di Romani, Visigoti e altri barbari. In questa battaglia (come pare fosse stato profetizzato ad Attila) morì il re dei Visigoti, Teodorico. Allora non ho potuto non pensare al Carducci, che però si riferiva ad un altro Teodorico, che fu re degli Ostrogoti alcuni decenni dopo.
E così la fama poetica data da Carducci a Teodorico il Grande si riflette anche su un re visigoto che mai regnò sull'Italia, ma che fu protagonista dell'ultima grande vittoria militare dell'Impero Romano.
Su 'l castello di Verona
Batte il sole a mezzogiorno,
Da la Chiusa al pian rintrona
Solitario un suon di corno,
Mormorando per l'aprico
Verde il grande Adige va;
Ed il re Teodorico
Vecchio e triste al bagno sta.
sabato 8 ottobre 2011
Alan L Mackay - un quasi-nobel
Cercando informazioni sui quasi-cristalli, che hanno dato a Dan Shectman il premio Nobel della chimica quest'anno, mi sono imbattuto in Alan L Mackay, fellow del Brikbeck College dell'Università di Londra, cristallografo teorico di altri tempi, che già prima della scoperta di Shectman aveva dimostrato come i mosaici aperiodici di Penrose potessero dare una figura di diffrazione.
Veramente un personaggio curioso, che non sono neanche riuscito a capire se sia ancora vivo o no, probabilmente si poiché il Brikbeck College lo riporta ancora tra i suoi fellows (emerito ovviamente, poiché è nato a Wolverhampton nel 1927). Se fosse così credo che avrebbe meritato il Nobel insieme a Shectman, poiché è grazie ai suoi conti sui mosaici di Penrose che è stato possibile "giustificare" le figure di diffrazione di cristalli senza simmetria traslazionale.
E' possibile comunque trovare online tutta la sua bibliografia (e di molti articoli sono disponibili gratuitamente i pdf) in questo sito, dove oltre agli articoli scientifici si possono trovare altre curiosità, tra cui un "Utopianism, scientific and socialist" per il meeting in Cina su Mao Ze-dong e la scienza del 1993 o un "Ciencia y religion son incompatibles" su El Pais del 1992. Forse troppo anziano, forse troppo eterodosso, forse troppi concetti bizarri (come la cristallografia non-Euclidea) per un premio internazionale, o forse semplicemente troppo dimenticato.
Indignarsi nel mondo (una riflessione "comunista")
Per parafrasare un vecchio adagio (ed essere forse troppo ottimisti), si potrebbe in effetti dire che c'è uno "spettro che si aggira" per il mondo, che unisce le piazze di Spagna, Siria, Tunisia, Stati Uniti, persone che vanno in piazza a protestare, "indignate". Seguendo l'esortazione quasi profetica di un recente pamphlet dall'enorme, insperato e soprattutto inimmaginato successo di Stéphane Hessel. Eppure certamente non si possono razionalmente unificare i motivi che hanno spinto i giovani (e meno giovani) di Tunisia, Egitto e Libia, e che spinge ancora quelli di Siria e Yemen a ribellarsi contro le dittature che da decenni dominavano (o dominano ancora) i loro paesi, con le piazze di Madrid e New York, queste ultime spinte più da indignazione che da "normale" rivolta contro il tiranno.
Quindi questa analogia mi pare inutile farla.
I motivi del malcontento occidentale sono diversi, sono nell'esplosione, nel corto-circuito del sistema "produci-consuma-crepa" (per usare ancora un'espressione forte ma evocativa del passato) che sta prosciugando i consumatori proprio perché per aumentare i consumi (diminuendo i prezzi) si è spostata la produzione e quindi si sono "impoveriti" i sistemi industriali. Ma se non si produce poi non si può più consumare. Mentre il crepare non ce lo leva nessuno, in ogni caso.
Per ora questi "indignati" hanno prodotto poco, anzi l'unica cosa è paradossalmente il ritorno della destra in Spagna (prima alle amministrative e molto probabilmente alle prossime politiche) e il rischio della sconfitta di Obama l'anno prossimo; per ora, come già accaduto in passato con il 68 francese, le rivolte anti-sistema rischiano di far tornare al potere i paladini del sistema, coloro che lo rivendicano e l'hanno imposto come pensiero unico e dominante nel mondo.
Ad essere ottimisti certamente si potrebbe sperare che da queste piazze e da queste indignazioni potrà nascere una visione del mondo diversa che superi se non tutte almeno alcune delle ingiustizie dell'oggi. Però ad essere pessimisti si ha purtroppo molto più spesso ragione, e intanto rischiamo che l'indignazione travolga più una sinistra troppo timida nel contrastare il "neo-liberismo" e meno i liberisti "puri e duri", facendoli così trionfare. Almeno nel corto periodo.
Per finire queste brevi (e sempre rare) riflessioni politico-economiche, si potrebbe sperare che lentamente ma inesorabilmente il pensiero dominante smetta di essere dominante e sia così più facile metterlo in discussione e attuare quelle politiche che a volte sembrano "eterodosse" rispetto all'ortodossia liberista. O quanto meno dare spazio all'immaginazione politica necessaria per superare la pigrizia dell'ineluttabilità del presente.
venerdì 7 ottobre 2011
Serbia - Italia 1 - 1
Partita chiaramente caratterizzata da una grandissima tensione iniziale, dopo la guerriglia nazi-fascista dei serbi in Italia dell'andata. Lo stadio di Belgrado, dal nome evocativo (Maracanà), fischia selvaggiamente l'inno italiano, come ci si poteva aspettare dopo i fischi che i "tifosi" serbi avevano riservato all'inno italiano pure nella pallavvolo a Vienna. Non capisco bene le sanzioni sportive (che in quel caso di sportivo avevano ben poco), per cui dopo tutto quello che i serbi hanno fatto a Genova, si gioca il ritorno a Belgrado. Certe squadre andrebbero se non radiate almeno sospese a divinis e la Serbia è sicuramente una di queste.
Da notare (negativamente) poi la qualità di esecuzione degli inni: entrambi (quindi non un boicottaggio musicale) suonati da una banda confusa e stonata. Sicuramente una banda di paese avrebbe potuto fare meglio. Evidentemente le bande serbe sono tutte in giro con Kosturica.
Primo tempo rapidissimo nelle battute iniziali. In un minuto si arriva da quasi gol per la Serbia al vantaggio di Marchisio. L'Italia tiene bene il pallino del gioco per un quarto d'ora ma poi i padroni di casa si riprendono dal colpo iniziale e premono con costanza, soprattutto sulle fasce, meritando il pareggio e finendo da padroni anche del campo di gioco. Il secondo tempo inizia promettendo bene, invece poi entrambe le squadre si placano e tranne un paio di fiammate sembrano accontentarsi del pari.
Ma veniamo alle pagelle per l'Italia.
BUFFON 6.5 Determinante all'inizio, è suo il lancio del vantaggio, e poi sulla punizione di inizio secondo tempo.
CHIELLINI 5.5 Messo a sinistra è sicuramente meglio che al centro (e anche Conte è d'accordo), tanta volontà ma non basta. Si fa poi troppo passare da Krasic che per fortuna sbaglia tanto.
BONUCCI 5.5 Un po' statico e soprattutto confuso quando c'è da cominciare l'azione.
MAGGIO 5.5 Anche dal suo lato la Serbia arriva troppo spesso al cross. In avanti non lo si vede quasi mai. Anche se non ha molti compagni cui fare dei cross, arrivare sul fondo può sempre essere utile.
BARZAGLI 6. Molto attento in fase difensiva, ma nulla di più.
PIRLO 6. Sempre al centro dell'azione, ma non trova mai il passaggio risolutivo.
MARCHISIO 6.5 Il più in palla nel primo tempo, poi cala finché non deve uscire per un problema alla caviglia.
DE ROSSI 6. Anche lui come tutta la squadra fa bene all'inizio ma poi si eclissa. Resta a combattere e prova qualche verticalizzazione anche se senza fortuna.
MONTOLIVO 5. Perso nel centrocampo, mai utile alla causa.
ROSSI 6.5 Il migliore in attacco, pare che non sia al massimo, speriamo lo diventi per gli europei. L'unico che crea pericoli reali là davanti.
CASSANO 5. Sembra iniziare bene, poi si eclissa, mettendosi in un angolo e tentando con dei colpi senza speranza.
GIOVINCO 5. Sostituisce Cassano ma sono in pochi ad accorgersene. Potrebbe segnare il gol-vittoria ma non è abbastanza reattivo.
PRANDELLI 5.5 Dicono che non abbia molte scelte, e comunque l'inizio lo premia. Poi però è troppo lento a cambiare in corsa, e quando lo fa si chiude invece di tentare di vincere.
martedì 4 ottobre 2011
Meglio Fritz Lang di Amanda&Raffaele
Ieri sera tutti quanti in Italia, in televisione come sul web, in una comunanza di intenti e soprattutto morbosità, fremevano nell'attesa della sentenza di appello sull'omicidio di Perugia prima per poi lanciarsi nel solito frullatore di sdegno, collera, lamentele, riprovazione, gli "innocentisti" lamentando una giustizia fallace, i "colpevolisti" prendendosela con gli avvocati.
Francamente in nessun tipo di processo penale capisco come i semplici (tele)spettatori possano prendere posizione, essere "colpevolisti" o "innocentisti", in qualsiasi procedimento, mi sembra assurdo. Su cosa infatti si può basare una o l'altra professione (di fede, in pratica)? Capisco la morbosità, il fascino del giallo, del mistero, del delitto, ma io lascerei queste pulsioni ai libri gialli e ai tanti film e telefilm polizieschi e giudiziari (consiglierei anzi "Delitto e Castigo" e "I Fratelli Karamazov" ai più appassionati).
Quindi ieri sera non mi passava certo per la testa di seguire questa assurda diretta (e assurdo anche l'emettere una sentenza in notturna, mah), anche se mio malgrado ho dovuto vedere come twitter, fb e compagnia cantante fossero completamente monopolizzati da Perugia.
Su Arte, il canale franco-tedesco, davano due film molto belli che non avevo mai visto, di Fritz Lang: I Nibelunghi: la morte di Sigfrido e I Nibelunghi: la vendetta di Crimilde. Due film muti del 1924, in una versione restaurata, con i cartelli in tedesco (con caratteri gotici) tradotti in francese, più di due ore ciascuno, fantozziani se vogliamo scherzare, ma godibilissimi (anche se il secondo iniziava troppo tardi e non ho potuto vederlo tutto). Un modo anche per ritornare su una mitologia che è diventata doppiamente mito con la saga wagneriana e su una storia medioevale che unisce mito e realtà (i burgundi, i sassoni, gli unni con draghi, nani, spade magiche e tesori maledetti).
Insomma sicuramente più interessante ed edificante di un processo penale.
domenica 2 ottobre 2011
Juventus - Milan 2 0, le pagelle
Ottima Juventus nel primo tempo, tiene il pallino del gioco ma non riesce a concretizzare. Meritava sicuramente di più. Il Milan invece tenta di contenere e spera in qualche fiammata lì davanti, ma non ha più Pirlo a fare i lanci lunghi e precisi per Ibra. Il secondo tempo sembra andare avanti con la stessa inerzia, la Juve che domina senza riuscire a concretizzare, finché un'azione travolgente della Juve non sblocca il risultato, galvanizza i bianconeri che raddoppiano poi nel recupero.
BUFFON 6.5 Pronto quando viene chiamato in causa.
CHIELLINI 6.5 Molto meglio come terzino che al centro della difesa. Più sicurezza dietro e più libero di rendersi pericoloso davanti. Grintoso come sempre dall'inizio alla fine.
BONUCCI 6.5 Difesa sicura con centrali ben registrati.
BARZAGLI 6.5 Vale per lui lo stesso di quanto detto per Bonucci. Reti inviolate contro il Milan significa che i centrali hanno fatto bene. Compatti entrambi.
LICHTSTEINER 6. Difende e propone anche se troppo impreciso in alcune occasioni. Migliora nel secondo tempo.
MARCHISIO 7.5 Sembra rigenerato, aggressivo a centrocampo e determinato in attacco. Doppietta meritata.
PEPE 6.5 Dinamico, rigenerato anche lui. Non gli si chiede grande tecnica, ma polmoni. E li mette tutti.
KRASIC 6 Un po' appannato, si limita all'ordinaria amministrazione.
PIRLO 6.5 Avere lui a centrocampo aiuta sia attaccanti, che si trovano lanci e passaggi millimetrici, che difensori, che sanno sempre a chi dare la palla. La prova che nel calcio moderno quando si hanno i piedi si può ancora andare al piccolo trotto ed essere determinanti.
VIDAL 6. Perso e troppo lezioso nel primo tempo, migliora nella ripresa quando guadagna in sicurezza e concretezza.
VUCINIC 6.5 Boa avanzata, è tra i più pericolosi giustamente, meriterebbe il gol, peccato per lui, ma è fondamentale nella vittoria bianconera.
GIACCHERINI. 6.5 Dinamico e pericoloso, costringe i terzini milanisti a restare coperti. Buona intesa con Vucinic.
CONTE 7. Bravo a passare dal 424 dei proclami estivi ad un 4141 o meglio a lasciare i numeri e guardare gioco e giocatori. Insiste nel secondo tempo col modulo del primo e viene premiato.
ABBIATI 6. Perfetto per 90 minuti, la papera finale macchia una buona partita, per cui merita comunque la sufficienza.
NESTA 6. Tiene la difesa finché non è costretto dal solito infortunio ad uscire.
ZAMBROTTA 5. Cede in difesa e non riesce mai ad essere utile in attacco.
THIAGO SILVA 6. Insieme a Nesta regge la difesa quasi fino alla fine.
BONERA 5. Come terzino non fa altro che tentare di difendere ma spesso in affanno.
SEEDORF 5. Non pervenuto. Qualche azione all'inizio ma poi viene travolto dal centrocampo bianconero.
NOCERINO 5. Dovrebbe dare dinamicità al centrocampo, invece non trova il filo delle azioni e il ritmo partita.
BOATENG K-P 4. Inutile e dannoso. Anche se la sua espulzione non fai poi così male al Milan, non essendo molto diverso il suo esserci o non-esserci.
VAN BOMMEL 5. Una diga bucata. Se lui è il sostituto di Pirlo ...
IBRAHIMOVIC 5.5 Sbraccia e si lamenta, ha pochissime occasioni e non le sfrutta.
CASSANO 5. Si fa vedere ad inizio partita, cercando scambi con Seedorf ma presto scompare, limitandosi a qualche apertura poco sfruttata dai compagni. Giustamente sostituito.
EMANUELSON 5. Sbaglia quei pochi palloni interessanti, Allegri e Ibra giustamente se ne lamentano.
ALLEGRI 6. Si ha l'impressione che non abbia alternative di formazione, però si fa dominare senza mai essere pericoloso in contropiede.
Dalla Corea (19) - La cucina coreana
I coreani sono molto orgogliosi della loro cucina, e mi chiedevano sempre se il cibo e i ristoranti coreani mi fossero piaciuti. In effetti in due settimane ho mangiato cose sempre un po’ diverse in ristoranti sempre diversi. Questa varietà è, paradossalmente, dovuta anche alla semplicità della cucina. I cibi vengono cucinati infatti principalmente in due modi: bolliti e in padella. Non avendo né olio né burro, solo la soja viene usata per ungere, con il risultato di avere piatti molto meno grassi ovviamente. E questo mi ha salvato, perché due settimane a ristorante pranzo e cena in qualsiasi altro paese occidentale sarebbero stati troppo duri. Così in genere i piatti consistono in una zuppa, o in una grande ciotola piena d’acqua da far bollire direttamente sul tavolo, in cui cuocere noodles, pezzi di carne tagliata molto sottile, verdure, frutti di mare. Oppure arrivano delle ciotole di ghisa (o finta ghisa) nere con dentro un brodo che può essere di carne, con pezzetti dentro, o di pesce (e in questo caso il pesce spesso è completamente sciolto). Tutto sempre rovente, la cucina tipica è infatti “hot” sia nel senso di temperature molto elevate, sia di molto piccante. Al piatto principale, che molte volte è in comune, si uniscono una serie di ciotoline piene di tanti assaggini per accompagnare. Tra questi si trova l’immancabile chimci (una specie di rapa fermentata), alghe secche, pescetti e verdurine (difficile riconoscerle o comunque darle un nome). Alternativamente la carne può essere scottata in padella o ancor meglio alla griglia, e anche questo si fa direttamente sul tavolo del ristorante. Insomma i cuochi coreani quasi non esistono. Quello che cucinano sono appunto le zuppe e qualche volta quella specie di tortine coreane che sono una via di mezzo tra una frittata e un pancake, molto simili ai giapponesi okonomyaky. Tipici sono quelli al chimci, tanto per cambiare, ma anche con pezzetti di polipetti, verdure varie o pezzetti di pancetta. Ma con ordine.
La carne. Si trovano indistintamente tutti i tipi di carne, manzo (vitella compresa), maiale, pollo, volatili vari. Solo l’agnello mi pare di non aver mai visto. Poi ovviamente c’è la “specialità” che è la carne di cane. Mai mangiata, Ki non ha avuto il coraggio di portarmi in uno dei ristoranti che lo cucinano, temeva che non sarei riuscito a mangiarlo o che mi avrebbe fatto troppo “senso”, e io non ho insistito più di tanto (anche perché chi avrebbe poi sentito alcuni lettori di questo blog?). E la carne si può trovare semplicemente bollita, una specie di lesso da condire con una salsa di soja o con un’altra che ricorda la salsa verde ma è molto più leggera. Oppure appunto in padella, tagliata a pezzetti e scottata un attimo, poi messa in una ciotolina da mangiare accompagnata con riso o verdura. E infine alla griglia. Ovviamente poiché si mangia con le bacchette, senza soprattutto il coltello (unico altro strumento è il cucchiaio), o viene servita già tagliata, o danno pinze e forbici per tagliarla e poi metterla nelle ciotoline. Già perché un’altra cosa tipica è che non si hanno dei grandi piatti dove mettere il cibo, ma tante piccole ciotoline, e tra queste, qualche volta, una è vuota e serve per appoggiare le pietanze, ma sempre di piccole dimensioni.
Il pesce. Sono molto consumati i frutti di mare, gamberi, una specie di vongole, cozze, polipetti, in genere appunto bolliti e mangiati con la zuppa o con i noodles. Il pesce è invece mangiato quasi esclusivamente crudo, o così, tipo “sashimi”, però giusto appena preso - pare che nei ristoranti lo prendano dall’acquario e lo portino in tavola, purtroppo non ho potuto vederlo - oppure mischiato con le verdure, tagliato a pezzetti (ma sempre crudo). Tipico poi è una specie di pesce lasciato fermentare che è quindi dal sapore molto forte. Infine una cosa ottima è la seppia secca, che si mangia come uno snack, in treno per ammazzare il tempo e la fame, oppure come accompagnamento di una birra. Già perché in Corea quando si va in un pub a prendere qualcosa non si beve mai senza anche mangiarci vicino qualcosa.
E per finire non si può non parlare del riso. Che sia ovunque, in Corea come in tutto l’oriente, è noto. Però è sempre istruttivo vedere come viene mangiato. Bollito principalmente, portato in una ciotolina chiusa in acciaio per mantenere la temperatura, si può usare come accompagnamento, mischiandoci pezzetti di carne o verdura o pesce, oppure lo si può prendere e immergere nella zuppa per dargli consistenza e abbassarne anche un po’ la temperatura, formando una specie di “pappone” che si mangia poi col cucchiaio. Una cosa molto curiosa si fa sempre con il riso, portato in una grande ciotola di ghisa (o finta ghisa), calda, cui si leva il riso finché si riesce, poiché una parte resta comunque appiccicata alle pareti, poi si riempie il contenitore con acqua bollente e si aspetta un po’. Ne esce fuori una sorta di “thé di riso” che si può bere o prendere col cucchiaio (anche perché è rovente). Infine si possono anche fare delle “penne di riso”, che si possono usare per accompagnare gamberi o carne o anche questi nel brodo e dare consistenza.
Ecco, per concludere, una cucina varia ma semplice, basata su ingredienti elementari e non su elaborate combinazioni, priva di salse grasse, perché appunto priva di burro, olio o latte, molto vegetale e quindi dietetica. L’unica cosa cui bisogna fare attenzione mangiando ripetutamente cibo coreano è che può essere molto piccante e quindi bisogna cercare di minimizzare le pietanze più forti.
sabato 1 ottobre 2011
Dalla Corea (18) - Sullo sviluppo: tra energia e cultura
La Corea del Sud non è un paese sottosviluppato, al contrario, anche se da lontano, nello spazio, ma soprattutto nel tempo (ci ricordiamo ancora quando negli anni ottanta i prodotti “made in Corea” avevano un po’ lo stesso status degli attuali “made in China”), si può pensare il contrario. D’altra parte nel 1953 la Corea è uscita da una guerra disastrosa che ha letteralmente raso al suolo tutto, e ancor prima la dominazione giapponese aveva depresso l’area, usando i suoi abitanti quasi come degli schiavi per l’impero (gli uomini arruolati a forza, le donne per “svagare” le truppe giapponesi, e soprattutto per questo i coreani provano ancora un astio grandissimo nei confronti dei giapponesi). Poi sono arrivate le macchine e i prodotti tecnologici, più economici di quelli giapponesi, ma non per questo peggiori alla fine. Noi però in Europa pensiamo sempre, da snob decandenti, che questi paesi sono ad un livello di sviluppo inferiore, semplicemente perché magari lo erano fino a pochi anni prima. E il fatto che gli indicatori mondiali diano la Corea non ancora nei primi otto del mondo, vuol dire poco. Se infatti si vanno a cercare statistiche, risulta come la quarta economia più grande dell’Asia e la quindicesima nel mondo. Ma soprattutto è riconosciuto, grazie al suo alto livello di tecnologica informatica principalmente, come il settimo paese al mondo secondo l’indice di educazione e sviluppo umano dell’ONU, oltre ad essere parte dei trenta paesi OCSE. Ma tralasciando i numeri, è semplicemente all’occhio che si vede come non siamo in un paese del passato, ma semmai del futuro. Samsung, Hyundai, Kia, ma anche LG (leader mondiale negli schermi piatti, non sapevo fosse una ditta coreana, e qui fa un po’ di tutto, anche condizionatori). Tutti i loro prodotti invadono le strade e le case dei coreani, in giro le poche macchine europee si chiamano Mercedes, BMW, Audi, Porsche, Ferrari (sì Ferrari), ovvero macchine di lusso, a testimonianza che si sono sviluppati da soli e i ricchi (in senso assoluto, visto che comprano prodotti che sono di lusso anche per la se-dicente ricca Europa) cercano i simboli mondiali riconosciuti della qualità, qualità che però si trova anche nei loro prodotti (per restare alle macchine la Samsung ha una serie super tecnologica di berline che ha un certo successo mi pare). Allora non capisco tutte quelle chiacchiere sull’occidente che dovrebbe esportare le proprie conquiste sociali in Asia. Ovvero capisco quanto siano fuori dal mondo le persone che dicono ciò, non so se in buona (ovvero per semplice ignoranza) o in cattiva fede (ovvero per mantenersi nei propri ruoli, nelle proprie macchiette politiche). Qui semplicemente lavorano, certo ancora i prezzi sono più bassi dei nostri, ma questo penso sia piuttosto per colpa del folle corto circuito europeo, della forza monetaria dell’Euro che distorce le differenze dei tenori di vita reali (basti pensare all’assurdo per cui anche in USA tutto costa relativamente poco per chi viene dall’Euro-zona). E poi prima di parlare di esportare le conquiste sociali del secondo dopoguerra europeo in oriente bisognerebbe fare due cose, legate una con l’altra: venire qui e vedere nelle facce delle persone l’energia e la fiducia nel futuro, comprendere la loro cultura che non è basata sulle divisioni.
Girando per le strade, sia nella moderna Seoul sia in una città di provincia, infatti è stata una buona idea fermarsi e guardare le facce (come mi ha suggerito Emanuela appena arrivato, chiedendomi: “come sono le espressioni delle persone per la strada?”) e senza troppe chiacchiere ed elucubrazioni comprendere quell’energia che li anima, che li fa sorridere, il buon umore che è dato dalla fiducia in un futuro migliore o semplicemente in un futuro che è nelle loro mani. Fiducia e ottimismo (non quello di Berlusconi, che è piuttosto totem della decadenza, ricorda le caricature che si facevano dei prefetti della Roma decadente, impegnati solo in orge e gozzoviglie, laidi e grassi, adagiati su un triclinio con un grappolo d’uva in mano) che sono più efficaci di mille manovre economiche, di mille parole sul rilancio della crescita, di mille piani quinquennali, keynesiani o neo-liberisti.
E questo non è slegato dalla cultura coreana e orientale. Sicuramente è un campo enorme quello della differenza tra cultura occidentale e orientale, qui voglio solo dare un esempio che ho potuto notare dalla mia esperienza diretta (perché qui sono cronache, non certo saggi sulla Corea, lungi da me!): in occidente, Italia, Francia o USA, ci si domanda spesso se si viva per lavorare o si lavori per vivere. Contrapposizioni, come sempre, opposti tra cui ci sentiamo obbligati di scegliere, consapevolmente o inconsapevolmente. “Lavorare per vivere” è il motto dello sfaticato, per estremizzare, di chi fa il minimo sindacale, che porta, generalizzato, ad un sistema pigro e statico; “vivere per lavorare” invece è il motto del business, del “workalchoolic”, che provoca stress ed “esplosioni”. E noi ci sentiamo stretti in questi due estremi, perché viviamo il lavoro come qualcosa separato dalla vita. L’impressione invece che danno i coreani è che non c’è una differenza tra vita e lavoro, è quasi un fluire continuo, senza barriere, così che si può fare una riunione in Università il sabato dalle 10 del mattino alle 5 del pomeriggio, o fare lezione fino alle 10 di sera, ma allo stesso tempo un mercoledì andare dal mattino fino al pomeriggio nel vicino parco nazionale e fare una lunghissima passeggiata in montagna tra i boschi. Lavorano così continuativamente ma senza stressarsi, anche dieci ore al giorno, ma dolcemente. E questo sicuramente nella media porta ad una produttività maggiore e (probabilmente) uno stress minore.
Questo ovviamente è solo lo spaccato di società che ho potuto vedere in quindici giorni ma che ho potuto confrontare con spaccati analoghi e raccogliere infine queste poche impressioni.
Dalla Corea (17) - La TV coreana
Vedere la televisione in Corea non è certo un’impresa facile, perché come è ovvio il coreano è una lingua incomprensibile non solo a sentirla ma anche a leggerla, così neanche i titoli dei telegiornali o le notizie che scorrono in basso, come si trova oramai in tutte le televisioni del mondo, assimilazione alla CNN, sono inutili per capire cosa sia accaduto, solo qualche immagine può dare un’idea molto vaga. Quindi ho visto molto poche volte la tv la sera tornando dopo cena nella mia stanza prima di dormire, una delle poche cose che si potevano capire erano le previsioni del tempo perché anche se i nomi delle città sono anch’essi scritti in coreano (e quindi incomprensibili), sapendo che Seoul è in alto a sinistra e Chungju un po’ più a sud, gli internazionali disegni di sole e pioggia potevano far comprendere il messaggio base. Certo quando poi mettono le temperature in alcune caselline orizzontali non si capiva se si riferissero ai giorni della settimana o a diverse città. Ma questo era un dettaglio. A parte i telegiornali due mi sono sembrati i tipi programmi che vanno per la maggiore: gare canore di varia natura e film storici coreani. Soprattutto le gare canore mi è parso piacciano molto ai coreani, un mix tra un Sanremo continuo e un reality, tra un X-factor e uno show di Paolo Limiti. Infatti in una trasmissione molto seguita si alternano per settimane cantanti che non sono più sulla cresta dell’onda (evidentemente il successo brucia rapidamente in Corea, perché si trattava di cantanti spesso giovani, famosi dieci o quindici anni fa, ed ora evidentemente già in declino) in competizione tra loro, sette in totale e ogni tre puntate uno viene eliminato (e poi sostituito da uno nuovo) a seconda dei voti dati dal pubblico su due esibizioni (il pubblico presente in sala non quello “da casa”, non ancora, o non più, televoto). In un’altra trasmissione simile invece cantanti pop devono cantare e imparare a cantare brani di opere liriche (con risultati spesso penosi, per quanto ho potuto vedere e ascoltare una volta). Insomma, la passione coreana per la musica, unita alla passione universale per le competizioni e soprattutto al piacere un po’ morboso nel il vedere “le facce sofferenti” dei cantanti che aspettano il giudizio del pubblico, e a quel pizzico di “reality” - ovvero quella tecnica televisiva attuale in cui si seguono le lavorazioni di un brano, dove le telecamere entrano nei back-stages e dove alle esibizioni si alternano interviste sulla preparazione dei brani e quasi di “auto”-analisi sulla propria presenza nella competizione, dove si palesano timori e speranze - ha creato un filone di trasmissioni televisive molto in voga in Corea, mi è parso di capire.
I film storici coreani, in costume, pieni di combattimenti con la spada, con le lance, di guerrieri presi nel loro ruolo, concentrati prima della battaglia, alla testa di schiere di cavalieri e fanti ma che cercano di evitare inutili spargimenti di sangue, restano ad un livello solo superficiale di comprensione, possiamo “vedere le figure” e ammirare i costumi, le espressioni, le acconciature, il modo di rapportarsi di un mondo antico ma non possiamo capire le storie, se siano invasioni cinesi, giapponesi o mongole, faide intestine o entrambe le cose. Peccato, anche se hanno l’aria di essere un po’ troppo dei polpettoni, sarebbe stato interessante capirli per conoscere meglio la storia di questa piccola terra dell’estremo oriente.
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