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domenica 4 novembre 2012

Qualche riflessione nata dal caso M.

Il fatto è noto : commentando su twitter l’intervista a Vendola su La7, dopo il passaggio in cui il governatore della Puglia si diceva sicuro delladi sconfitta di Renzi alle primarie, M., assessore al bilancio del comune di Ferrara e sostenitore del sindaco di Firenze (non penso sia utile al nostro ragionamento scrivere esplicitamente di chi si parla, penso che l’interessato abbia fin troppo scontato e subito il suo errore, e sperimentato su di sé cosa sia nei fatti la cosiddetta gogna mediatica, perciò lo chiamerò M. per provare ad astrarre questo ragionamento), ha mandato a quel paese il candidato di SeL cercando di scimmiottare il modo di parlare di quest’ultimo. Diciamo subito che ha sbagliato, ma cerchiamo di capire meglio cosa è successo, non per giustificare qualcuno, ma perché magari possiamo usare il caso M. per capire meglio qualcosa su di noi e sulla società italiana. Userò il termine vaffa per sintetizzare il concetto, non riuscendo purtroppo a trovare alcuna espressione meno volgare. Diciamo che ho cercato di minimizzarne la volgarità, per quanto questo si possa fare quando il punto di partenza del nostro ragionamento è un insulto volgare. E semanticamente omofobo, come cercherò di spiegare nel seguito.

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martedì 9 ottobre 2012

Sicilia: l’autonomia distorta di oggi e di ieri


L’Italia è indubbiamente un paese curioso, che vive di grandi «scandali», improvvise e turbolente ondate moralizzatrici, che in genere scoprono l’acqua calda. L’ultima di questa serie è partita dalla regione Lazio, da Fiorito e i suoi party pecorecci, dal finanziamento regionale ai partiti (per tacere di come vengono gestiti i finanziamenti regionali alla sanità o alle formazioni professionali), e sembra investire altre regioni. Si arriva quindi a mettere in causa il concetto di politica regionale e del suo finanziamento. Per estremizzare questo ragionamento (processo che purtroppo in Italia si fa facilmente), alcuni sono arrivati ad invocare la chiusura delle Regioni.
 
Quello che si rimette in causa è anche, ed è forse la cosa più interessante, l’assunto per cui una politica «vicina al cittadino», come quella regionale, o più in genere locale, è ipso facto più virtuosa. Questo avverrebbe perché ci sarebbe un controllo del cittadino sulle politiche locali che è molto più facile di quanto non si possa fare al livello nazionale. Un preconcetto che si è inculcato nell’opinione pubblica anche grazie alla vulgata leghista, ma che non è basato su nessuna evidenza empirica. Gli scandali regionali non sono una novità degli ultimi mesi e le politiche locali sono sempre state contrassegnate da clientele piccole e grandi. E le clientele, collusioni, interscambi tra politica ed economia (pubblica ma non solo) sono l’anticamera dei fenomeni di oggi.

Consideriamo perciò una regione particolare, paradigmatica per comprendere l’infondatezza del mito dell’autonomia come cura di ogni male: la regione Sicilia. La Sicilia, terra di malaffare quasi per definizione, come prototipo del modello federale, che nella vulgata è di derivazione leghista? Eppure la Sicilia è stata la prima regione amministrata autonomamente nell’era post-fascista (il primo Alto Commissario, Francesco Musotto, viene nominato nel 1944) ed è una regione a statuto speciale sin dalla nascita della Repubblica. Questo ha significato che l’assemblea regionale siciliana, l’ARS, viene eletta sin dal 1947 (con presidente e giunta regionale). Dobbiamo ricordare che gli altri consigli regionali nacquero solo nel 1970; prima, oltre alla Sicilia, eleggevano un consiglio regionale solamente la Sardegna (1949), la Valle d’Aosta (1946), il Friuli-Venezia Giulia (1964) e il Trentino Alto-Adige (1949, poi divisosi nelle provincie autonome di Trento e Bolzano). Queste regioni hanno in un certo senso sperimentato il «federalismo» (o meglio l’autonomia legislativa e governativa su molte questioni) sin da prima dell’onda leghista che ha reso tutti fautori del federalismo. E tra queste regioni la Sicilia fa la parte del leone essendo la regione più estesa e popolata.

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mercoledì 4 luglio 2012

Il cambiamento in salsa Hollande



Il cambiamento è ora(“Le changement c’est maintenant”). Così recitava lo slogan con cui François Hollande ha condotto vittoriosamente la campagna elettorale nelle scorse elezioni presidenziali francesi. È diventato così il secondo socialista presidente della V Repubblica francese dopo François Mitterrand, vincitore nel 1981.

Cambiamento per questo? Certo, in un’ottica di alternanza normale, senza isterismi. In Francia il presidente della repubblica era di destra da ben diciassette anni: prima Chirac (1995-2007) e poi Sarkozy (2007-2012) avevano mantenuto l’Eliseo stretto nelle mani dell’area neo-gaullista, con tutte le differenze politiche tra i due presidenti, ovviamente. Ma ricorderemo che in questa lunga epoca di presidenti gaullisti c’è stato un quinquennio in cui il governo era socialista, il famoso governo Jospin (1997-2002), che alcuni ricorderanno per l’introduzione delle 35 ore lavorative, di cui tanto si parlò in Italia all’epoca del primo governo Prodi.

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domenica 1 luglio 2012

Lavoro e Pavlov



Purtroppo in Italia appena si tocca la legislazione sul lavoro scatta un riflesso pavloviano. E insospettabili in preda ad una specie di delirio arrivano anche con disinvoltura ad invocare le BR a proposito delle dichiarazioni e delle azioni del ministro Fornero. Cosa che purtroppo non è lontana dalla realtà anche nella storia recente. D’Antona, Biagi a quello stavano lavorando, Ichino è nel loro mirino da anni, eppure sono tutte persone di “sinistra” (Ichino addirittura è stato in passato senatore del PCI, i famosi “senatori indipendenti”, una tradizione che si annovera tra le cose positive dell’eredità comuniste che sono andate perse).

Ma tutti noi, tutti quanti si pensano "progressisti", facciamo bene a non lesinare sforzi per mettere la discussione su un tono “pacato”, ovvero un tono civile e democratico. E questo sarebbe auspicabile non solo qui, ma ovunque nella società. I deliri generano mostri, l’abbiamo già visto tante volte, ma evidentemente non si ha sempre il necessario distacco della ragione. E i mostri sono i maggiori nemici del progresso sociale ed economico.

E quindi non scoraggiamoci, anche se ci sembra troppo difficile invocare il “polisenso” di una parola così importante come “diritto”, come fa bene Matteo Rizzoli in un recente articolo su iMille. La semplificazione è la strada dell’assolutismo, di qualsiasi origine.

giovedì 24 maggio 2012

iMille analizzano il M5S



Stanno uscendo "a puntate" su iMille delle analisi sul (cosiddetto) programma del M5S. Molto meno caustiche dei miei commenti (ovviamente).

Oggi è uscita quella su Istruzione, Università e Ricerca, cui ho contribuito (un mio post personale lo metterò qui a breve, molto meno "asettico", ovviamente), dopo quelle su Stato e Cittadini ed Energia dei giorni scorsi.

Buona lettura. Le ultime due puntate nei prossimi giorni, sempre sullo stesso sito.

mercoledì 25 aprile 2012

Quali ricercatori nell’Università del futuro ?



Oramai, con l’approvazione e l’attuazione della riforma Gelmini del sistema universitario italiano, la figura del ricercatore universitario a tempo indeterminato non esiste più. O meglio non verranno banditi nuovi posti a tempo indeterminato ma solo quelli indicati dalla riforma, ovvero a tempo determinato, con o senza tenure (quel sistema per cui dopo sei anni, se si è valutati positivamente si viene assunti come professori associati a tempo indeterminato), mentre chi è stato assunto prima dell’entrata in vigore della riforma resta al suo posto. E’ un cambiamento che avrà bisogno di tempo perché vada a regime, sempre che un prossimo governo non vorrà rimetterci mano. Da ora quindi i ricercatori saranno assunti solo a tempo determinato, per i più « fortunati » tra questi si attiverà un sistema simile a quello in vigore principalmente nei paesi anglosassoni.

Continua a leggere su iMille.

lunedì 5 marzo 2012

Merito e istruzione. Italia e Francia a confronto.



Questi mesi di governo Monti hanno avuto, tra i vari meriti, quello di aver dato nuova linfa ad una serie di discussioni, tra cui quella che riguarda il bisogno da parte del nostro paese di premiare il merito. Un concetto vago che si può articolare in vari modi, dalle eccellenze alla giusta valorizzazione di ogni competenza. Ovviamente questo processo ha al suo centro il sistema di formazione e il suo collegamento con il mondo del lavoro. E in questo campo ci sono molte proposte nel calderone : si parla di maggiore integrazione tra Università e imprese, di qualificazione della formazione tecnica terziaria non universitaria, di valore legale del titolo di studio e di tanto ancora.

Ogni problema andrebbe analizzato prima separatamente per poi mettere insieme i pezzi e cercare una visione generale. Un aspetto, magari marginale nei numeri ma importante nella definizione di una società, è quello dell’identificazione degli studenti migliori per far sì che possano diventare la classe dirigente della società del domani. Si parla sempre dei migliori e mai degli studenti normali ? Non credo sia così, e le facili critiche di elitismo non devono spaventarci perché un sistema democratico e repubblicano è proprio quello che ha in sé i giusti meccanismi per trovare i migliori elementi nel suo corpo sociali e valorizzarli correttamente. Se non ci sono questi meccanismi allora sarà il familismo a prevalere, bloccando l’ascensore sociale e trasformando una democrazia sulla carta in una aristocrazia nei fatti. Perché non è solo il voto a definire una democrazia ma anche la possibilità per tutti ad accedere, secondo il proprio merito, al ruolo sociale che gli spetta. Ma secondo il proprio merito, ed è qui che è necessario che il sistema identifichi dei meccanismi chiari. Poi i geni che escono dal seminato troveranno anch’essi sempre il modo di farsi avanti. Ma per tutti gli altri serve un sistema chiaro e giusto.

(continua su iMille)

giovedì 23 febbraio 2012

Il ritorno del neutrino



E’ raro che la scienza fondamentale arrivi alle prime pagine dei quotidiani, e quando questo avviene c’è sempre sotto qualcosa, o un risultato tecnologico spacciato per scientifico o qualcosa di ‘rivoluzionario’ (spesso più per il giornalista che ne scrive che per chi ci ha lavorato). Alcuni mesi fa arrivò così agli onori della cronaca l’esperimento OPERA con la misura della velocità dei neutrini che forse sarebbe potuta essere superiore a quella della luce (i cosiddetti neutrini superluminali). Già all’epoca facemmo notare come la stampa trattò l’argomento in modo poco adatto. Certo è difficile uscire dalla logica dello scoop, ma forse sarebbe stato meglio per tutti se l’approccio alla notizia fosse stato meno scandalistico e più riflessivo (ovvero meno rivolto alla ricerca di una rivoluzione e più un’occasione per spiegare i motivi degli studi, i suoi oggetti e i suoi metodi).

... continua su iMille ...

venerdì 27 gennaio 2012

Da Vattani a Casa Pound. Apologie nella rete



Esce oggi, giorno della memoria, in cui è bene non dimenticare che il fascismo ebbe un ruolo primordiale nella definizione e nell'attuazione della Shoah, un mio articolo per il blog de iMille.

Nell’ordinamento italiano esiste una legge, la legge Scelba (che ricordiamo fu un ministro dell’interno non proprio di simpatie progressiste) che stabilisce il reato di “apologia del fascismo”, ovvero per chiunque “faccia propaganda per la costituzione di un’associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista”, ma anche per chiunque “pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”.

Apologia è un reato sottile e delicato, che si avvicina a censura, come l’istigazione a delinquere si avvicina a reato d’opinione. Eppure sono reati che, giustamente, esistono in tutti gli ordinamenti. Ma altrettanto giustamente (perché le leggi non sono scritte nel marmo, non calano dall’altro, sono frutto della società e si può e si deve opporsi eventualmente alle leggi ingiuste) sono sempre oggetto di critiche e discussioni.


(continua sul sito)

lunedì 28 novembre 2011

Università e Ricerca nelle proposte del PD



In questi giorni il PD ha presentato un bel libretto per esporre in modo succinto ma non solo tramite slogan le proprie proposte per “L’Italia di domani” (che è anche il titolo del libro). Il libretto è abbastanza agile, il formato sembra poter coniugare “comunicazione” e “proposte concrete”, il tutto corredato da belle foto e qualche “highlight” su ogni tema. Insomma rispetto alle 600 e passa pagine del programma dell’Unione un notevole passo in avanti.

Andando oltre i saluti di rito di segretario, presidente dell’assemblea nazionale e vice-segretario, si delineano i differenti temi sui quali si declinano le proposte del partito. Si inizia con “famiglie e politiche sociali”, si continua con “lavoro”, “salute”, “scuola”, “sicurezza”, “immigrazione” etc … Non voglio entrare nei dettagli di ogni tematica, ma soffermarmi su una sola, quella “Università e Ricerca”, senza non poter prima non restare abbastanza sorpreso dalla mancanza di qualcosa sulle politiche industriali (a parte un capitolo sulla “green economy” in cui però c’è un po’ di tutto, anche i rifiuti …).

(continua su iMille)

lunedì 21 novembre 2011

Sguardo sui governi "tecnici"

Oggi su iMille abbiamo pubblicato un lavoro collettivo in cui abbiamo individuato i governi tecnici, di larghe intese, di unità nazionale (e qualche governo di minoranza) che si sono formati negli ultimi cent'anni nei paesi industrializzati.

Un'interessante rassegna che mostra una certa "unicità" del caso italiano e come governi appoggiati da tutte le forze politiche abbiano spesso coinciso con eventi eccezionali.

Buona lettura.

domenica 30 ottobre 2011

Non regaliamo Ichino a Sacconi



Anche se non sono un liberale sfegatato, anzi proprio perché non mi sento un iper-liberista, penso che regalare Ichino a Sacconi sia un danno enorme.
Questo sta avvenendo a partire dalla mistificazione che il governo sta facendo della proposta di legge di Ichino sulla flex-security (che si può trovare sul sito di Ichino), gioco che stanno assecondando Fassina e la Camusso.

Per questo sottoscrivo l'appello lanciato dal blog de iMille.

Lo riporto anche qui:

Dopo anni passati a fare niente, il governo ha annunciato, con “curiosa” e infelice scelta di tempi, di voler mettere mano ad una riforma del mercato del lavoro. La scelta dei tempi è curiosa, si diceva: parlare di deregolamentazione del mercato del lavoro (art. 18 dello Statuto dei Lavoratori) e di libertà di licenziamento nel bel mezzo di una crisi è come scegliere di far decollare una mongolfiera in una tempesta di fulmini. Il governo ha anche pochissime idee, e lo si vede dall’intervista del Ministro Sacconi al Corsera. Il mercato del lavoro italiano necessita di una riforma complessiva e strutturale. Ma mentre, per vie parallele, Pietro Ichino e Tito Boeri studiavano con attenzione per anni come mettere mano al problema del precariato, affrontare il dualismo del mercato del lavoro italiano e garantire al contempo flessibilità alle imprese e tutele ai lavoratori, il governo dormiva sonni pesanti. Il risultato è che oggi la maggioranza ripropone l’ennesima battaglia campale su un singolo articolo, aggredisce il problema dei vincoli ai licenziamenti, senza parlare di riforma complessiva dei contratti, di riforma degli ammortizzatori sociali, di formazione e assicurazione dei lavoratori.



Di fronte a tanta miopia, osserviamo però con preoccupazione quello che accade nel PD e dintorni. Invece di cogliere al balzo l’occasione e contrappore alla miopia del governo una visione moderna e unitaria di riforma, proprio sul tema del lavoro il PD rischia di spaccarsi. Mentre Pietro Ichino viene oggi contattato da Sacconi per sedersi ad un eventuale tavolo di lavoro e Matteo Renzi alla Leopolda sposa esplicitamente la proposta di riforma di Ichino, il responsabile economico del PD Stefano Fassina critica Ichino con queste parole: "La disponibilità espressa da qualche parlamentare del Pd sulla proposta del governo sui licenziamenti è a titolo esclusivamente personale. Non vi può essere alcuna intesa bipartisan sull’ulteriore facilitazione dei licenziamenti per il semplice motivo che è una proposta ideologica, dannosa ai fini della crescita, finalizzata ad indebolire i sindacati, quindi a ridurre il potere contrattuale dei lavoratori, le retribuzioni e le condizioni di lavoro di padri e figli. Qualità e quantità di lavoro sono variabili dipendenti di politiche macroeconomiche espansive, riforme strutturali, redistribuzione del reddito e della ricchezza. Vedere gli Stati Uniti per credere. La ricetta di moda nell’ultimo quarto di secolo, riassunta nella proposta di legge del senatore Ichino e ripresa oggi alla Stazione Leopolda, è alternativa, per impianto culturale e misure specifiche, al programma del Pd sul lavoro e lo sviluppo, approvato all’Assemblea Nazionale di Maggio 2010 e alla Conferenza Nazionale per il lavoro di Genova a giugno scorso. Il Ministro Sacconi non si illuda."


Il PD non dovrebbe far sentire Pietro Ichino come un ospite poco gradito del partito e definire una proposta di riforma articolata e pensata come quella di Ichino come un “residuo dell’ultimo quarto di secolo”. E Bersani farebbe secondo noi una cosa sensata se smorzasse queste dichiarazioni di Fassina e convocasse lui un tavolo del lavoro, a cui far sedere anche Ichino (prima che lo faccia Sacconi). Quantomeno perché è chiaro che le posizioni di Ichino non sono “posizioni esclusivamente personali”, ma riflettono la visione di un’anima importante del partito, come si è visto anche alla Leopolda. Il tema del lavoro rischia di essere un iceberg su cui il PD e più in generale il centro-sinistra può andare a sfracellarsi. Adoperiamoci perché ciò non accada.


E concludo con un commento sullo stile di Fassina da membro del politburo del PCUS ...

venerdì 14 ottobre 2011

Nobel per la chimica 2011: una lezione per tutti



Dopo che alcuni giorni fa avevo parlato di MacKay e del premio Nobel per la chimica 2011 assegnato per la scoperta dei quasi-cristalli, oggi ne parlo più diffusamente sul sito de iMille.

Sono di questi giorni gli annunci dei premi Nobel 2011, che come tutti gli anni si attendono con impazienza, rincorrendo voci e animando, una volta resi noti, discussioni, polemiche, a volte esultanze. In genere questo avviene soprattutto per il premio per la pace, a causa delle grandi implicazioni politiche (ricordiamo Obama nel 2009 e Liu Xiaobo nel 2010), per la letteratura, a volte per l’economia o la medicina, in qualche raro caso per la fisica. Ma già in quest’ultimo caso, trattandosi di argomenti già digeriti dalla comunità, non fa mai molto scalpore, soprattutto quando, come quest’anno, avviene pochi giorni dopo l’annuncio sui neutrini superluminali. Al massimo, quando succede, l’italianità del premiato riesce a mettere la notizia in maggiore risalto. Poi sull’argomento si riesce, talvolta, a farlo comprendere alla popolazione, in misura maggiore o minore a seconda del caso e, come è naturale, sempre in modo generico e “grossolano”. Si parla quindi di astronomia o cosmologia, oppure di materiali innovativi o circuiti conduttori. In ogni modo però la fisica la si riesce sempre a comunicare in modo direi soddisfacente al grande pubblico (anche se ovviamente facendo grandi semplificazioni).

Per continuare c'è il blog de iMille.

domenica 9 ottobre 2011

Movimentismo e Progressismo



Partendo dalla riflessione di ieri sull'indignazione, ho cercato di ampliare la questione del rapporto tra movimenti e sinistra e tentare di alimentare un dibattito che stava nascendo sulla mailing list de iMille sul suo blog.

mercoledì 7 settembre 2011

Su Alfano, su iMille

Ieri (ma l'ho visto solo oggi date le sette ore di fuso orario) su iMille è uscito questo mio articolo su Alfano, fra Casini e Forlani.

giovedì 4 agosto 2011

Blog Awards 2011




Come ogni anno è tempo delle nominations per i Blog Awards, quest'anno suggerisco:

iMille come miglior blog politico;
Francesco Costa come miglior blog culinario;
ancora iMille come miglior blog collettivo;
Agoravox.it come miglior blog giornalistico;
Energia & Motori come miglior blog tecnico;
e per finire sempre iMille come migliore grafica :)

per gli altri, libertà di coscienza!

Verso l’Università, tra statistiche e passioni

Uscito qualche il 25 luglio sul blog de iMille, ma ero appena partito per Ischia. Lo ripropongo anche qui ora.

Finiti gli esami di maturità come ogni anno arriva il momento della scelta di “cosa fare dopo”. Per molti studenti con un diploma di maturità arriva l’iscrizione all’Università. Prendo questo spazio per qualche consiglio e riflessione, cercando di incrociare i dati disponibili facilmente in rete (forniti da AlmaLaurea[1], dall’Istat[2] e dal Ministero[3]) con suggerimenti meno quantificabili ma che sono ugualmente importanti per ben dirigersi nella scelta dopo la scuola superiore.

Per prima cosa molti devono decidere se proseguire iscrivendosi all’Università oppure no. Molti sicuramente hanno già fatto questa scelta a fine luglio. La domanda semplice “conviene fare l’Università oppure no?” che ancora ronza nella testa di alcuni non ha sicuramente una risposta unica per tutti. Certamente non possiamo non dire che continuare gli studi è un di più per la propria formazione globale (quella che si chiamava cultura generale). Lo è anche per il lavoro e il tenore di vita successivo? Questo dipende da molte cose, ma per decidere individualmente bisogna chiedersi intimamente e sinceramente: “altri tre anni (come minimo) di studi? posso affrontarli economicamente e psicologicamente?” Uno solo è il consiglio sicuro: iscriversi all’Università solo perché non si sa che fare è una perdita di tempo, di energie e di denaro. Ci si iscrive per fare un “investimento”, ma che va ricalibrato nel mondo dell’Università di massa. Infatti oggi il “pezzo di carta” non garantisce più un lavoro sicuro e prestigioso. E questo è inevitabile quando si è passati dall’Università “aristocratica” a quella di massa.

Quindi per tutti gli studenti che non siano fortemente allergici allo studio e ad un po’ di sacrificio la cosa sicuramente migliore da fare è quella di iscriversi all’Università. Ma questo è un suggerimento “facile”, ovvero già accolto dalla maggior parte degli studenti se, come ci dice l’Istat [4], circa il 70% dei diplomati della scuola secondaria superiore si iscrive ad un corso universitario. L’importante è iscriversi senza pensare che arrivare ad un diploma universitario sia di per sé sicurezza e diritto ad un lavoro ma con la consapevolezza che, nel mondo (migliore) della cultura di massa, l’istruzione secondaria superiore non è più sufficiente per formare dei cittadini consapevoli, liberi e (probabilmente) più capaci di affrontare le burrasche del mondo in movimento di questi lustri.

Come scegliere, quindi? In questi giorni le Università organizzano delle giornate “porte aperte” o si fanno la pubblicità (anche quelle pubbliche) con cartelloni e spot. Ma la scelta primaria non è solo “in quale ateneo” ma “quale corso di Laurea”. Si dice spesso “fare quello che piace”, ma tranne poche e rare “vocazioni”, molto più spesso non si conoscono bene le differenze tra le specialità, e così si sceglie seguendo il fiuto, le mode, i “sentiti dire” (ovvero le false speranze di un lavoro sicuro) o la famiglia.

Per prima cosa però credo che bisogna domandarsi quali e che tipo di sacrifici si è disposti a fare. Ci sono infatti alcune facoltà che richiedono uno studio molto intenso e continuato e che quindi obbligherà, se si vuole resistere, a sacrificare molte giornate sui libri quando i propri amici magari vanno in vacanza. Non bisogna però neanche pensare che siano solo i corsi di area tecnico-scientifica ad essere di più difficile riuscita. Infatti se loro è la maggiore percentuale di mancata re-iscrizione dopo il primo anno (tra il 25 e il 30% sempre secondo l’Istat [4]) quantificando l’insuccesso come studenti che si laureano entro sette anni dall’immatricolazione troviamo tra le facoltà con più insuccessi le aree giuridiche, con il 31% di lauree con una durata ragionevole, quando l’area scientifica (che vede una maggiore selezione il primo anno), ha il 36%.

Non voglio dire che l’area giuridica è “più facile” di quella “scientifica” in assoluto, ma che nella scelta bisogna caratterizzare il concetto di “facilità”. Se infatti è evidente che nelle facoltà scientifiche le difficoltà sono all’inizio e molti non se la sentono più e abbandonano perché si rendono conto che quel tipo di sforzo richiesto non possono o non vogliono darlo, nelle facoltà giuridiche la difficoltà è più subdola, arriva col tempo.

I motivi delle difficoltà, della lentezza e degli abbandoni possono essere molteplici, ma restiamo qui nell’ottica di chi si deve iscrivere.

AlmaLaurea riporta per ogni facoltà (ma anche corso, sede, gruppo disciplinare se si vuole), un’accurata analisi sui laureati negli ultimi cinque anni [5]. Qui ci accorgiamo che l’area giuridica ha un voto medio di diploma tra i più bassi (84 nel 2010, in netto e pericoloso calo negli ultimi anni), mentre Ingegneria ha uno dei valori più alti (90), insieme a Scienze (87, con Fisica con un sorprendente voto medio di 93). La differenza deriva dal fatto che i migliori studenti si iscrivono a Ingegneria e Fisica? Questa è una risposta troppo semplicistica, ed è smentita se guardiamo altri dati. I laureati in Economia hanno un voto medio di diploma superiore di 85 (ovvero come giurisprudenza), ma hanno un tasso di riuscita estremamente più alto (52%, uno de più alti). E lo stesso vale per i laureati della facoltà di Lettere e Filosofia, dove si iscrivono studenti con un voto di maturità medio di 85 con un tasso di successo del 43% (inferiore a quello di economia ma ancora molto migliore di quello dell’area giuridica). Ma il più rilevante contro-esempio arriva dalla facoltà di Medicina: qui i laureati hanno i voti di diploma superiore tra i più bassi (78) ma la più alta probabilità di riuscita. Oltre ad essere quelli che dopo la laurea hanno più facilmente un lavoro e meglio pagato. Verrebbe da dire che dai numeri la facoltà da suggerire è proprio quella di Medicina (e infatti i test di ingresso a queste facoltà sono da molti considerati quasi un pre-concorso di lavoro, tant’è che si arriva a frodarli). Però è anche vero che è uno dei corsi in cui maggiori devono essere le motivazioni per iscriversi. Farla solo perché lo dicono le statistiche sarebbe un grande errore. Le statistiche semplicemente servono a confermare motivazioni già esistenti o a guidare nell’incertezza tra due (o tre) discipline.

Perché se vediamo le statistiche fornite sempre da Almalaurea [1] sul lavoro post-laurea e sulla provenienza dei laureati non c’è da essere allegri. Gli stipendi calano nettamente negli ultimi anni (del 9.6% in cinque anni) come anche l’occupazione (dal 6 all‘8.5% a seconda del livello di laurea). Come anche inquietante è la provenienza familiare dei laureati: si tende (soprattutto in Giurisprudenza ed Ingegneria) a seguire le orme dei padri e migliore è la condizione sociale della famiglia di provenienza maggiore sarà lo stipendio a cinque anni dalla laurea.

Tutti questi numeri, se possono aiutare, non devono però bloccare o deprimere. Devono far riflettere sul fatto che non esistono soluzioni facili, tranne per chi ha la fortuna di avere la soluzione tra le mura domestiche. Allora prima di concludere, è bene guardare un’ultima analisi condotta sempre dall’Istat [4]: l’insoddisfazione per gli sbocchi professionale, ovvero qualcosa che mette insieme il guadagno economica con quella del gusto del proprio lavoro. Più della metà dei laureati sono (purtroppo) insoddisfatti, con una netta prevalenza dei laureati in “corsi lunghi” (65%) su quelli delle lauree triennali (51%). Tra i più insoddisfatti abbiamo i laureati nell’area letteraria (78%) e giuridica (67%), mentre i medici sono (ancora) tra i più soddisfatti (solo il 36% sono insoddisfatti, d’altra parte fare il medico è un mestiere unico, fondamentale e ben preciso), ma vanno bene anche gli studi economico-statistici (solo 43% di insoddisfatti), ingegneristici (52%), scientifici (61%) come anche architettura (61.5%).

Pensare e valutare sforzi fattibili, avere l’umiltà di non fare il passo più lungo della gamba, ma anche mettersi in gioco ed iscriversi ad un corso di laurea che richiede impegno e dedizione. Ma soprattutto chi sente di avere degli interessi specifici e magari pensa che quelli non siano compatibili con il lavoro, ci pensi su prima di sacrificare la soddisfazione alla sicurezza, anche perché si rischia di non avere né l’una né l’altra.

Concludo quindi con qualche suggerimento che non ha basi statistiche (quelle le ho date prima e sono accessibili in tutti i dettegli nei siti che ho riportato) ma ha il vantaggio di riferirsi a singole storie vere che possono succedere a chiunque. Ho visto ottimi studenti liceali che inseguendo il mito della laurea tradizionale hanno perso delle occasioni per ritrovarsi con niente in mano. Ho visto altri che hanno rischiato le fatidiche lauree letterarie,e che invece lavorano nella comunicazione o sono degli ottimi insegnanti. Ho visto altri che hanno guardato alla fine non volendo fare sacrifici all’inizio e si sono bruciati le ali. Ho visto altri che hanno studiato intensamente dal primo all’ultimo giorno e sono giovanissimi professori associati senza alcuna famiglia dietro [6].

Ognuno vedrà se stesso dopo alcuni anni, vedrà la propria parabola e si giudicherà. Che la scelta sia quindi personale e consapevole, perché indietro non si può tornare ed è sicuramente meglio rischiare in proprio che poi recriminare scelte imposte, direttamente o indirettamente, da altri (famiglia o società).

L’università, la società, gli studenti stessi, hanno bisogno per migliorarsi, per non arrancare o retrocedere, di motivazioni e passioni che solo una scelta libera e “gioiosa” possono dare.

[1] http://www.almalaurea.it/
[2] www.istat.it/lavoro/unilav
[3] http://statistica.miur.it/normal.aspx?link=datiuniv
[4] www.istat.it/lavoro/unilav/prima_parte.pdf
[5] http://www2.almalaurea.it/cgi-php/universita/statistiche/tendine.php?anno=2008&config=profilo
[6] in Svizzera

lunedì 18 luglio 2011

Gioia e Riformismo - @ Changes

Di ritorno da Changes - la festa del cambiamento, che si è tenuta lo scorso week-end ad Acquapendente(VT) e al vicino parco del monte Rufeno, riporto (in attesa di recuperare chissà il video) il testo del mio intervento del venerdì pomeriggio. L'intervento era nel quadro di una serie di interventi/racconti di un evento che simboleggiasse il cambiamento cui associare anche una canzone. Riporto qui di seguito quello che avevo scritto in preparazione. Ovviamente dal vivo è stato un po' diverso, sia perché a voce poi si segue il canovaccio, sia perché poi mi facevano segni di stringere per stare nei cinque minuti, sia perché si aggiungono sempre i riferimenti a quanto avvenuto prima. Ma soprattutto per ringraziare i musicisti che hanno avuto il coraggio di suonare dal vivo basso e voce un brano non facilissimo e per scusarmi di averlo scelto, non sapendo che sarebbe stato suonato dal vivo.
La faccio breve, ecco l'intervento:

Voglio iniziare con i brevi versi della canzone che ho scelto, “L’Elefante Bianco” degli Area, per aiutarmi in questa mia breve parte della storia, del racconto che si è voluto scegliere come “ouverture” di questa tre giorni.

Corri forte ragazzo, corri
la gente dice sei stato tu
ombre bianche, vecchi poteri
il mondo compran senza pudore
vecchie immagini, santi stupidi
tutto lascian così com'è
guarda avanti non ci pensare
la storia viaggia insieme a te

Corri forte ragazzo, corri
la gente dice sei stato tu
prendi tutto non ti fermare
il fuoco brucia la tua virtù
alza il pugno senza tremare
guarda in viso la tua realtà
guarda avanti non ci pensare
la storia viaggia insieme a te

Impara a leggere le cose intorno a te
finché non se ne scoprirà la realtà
districar le regole che
non ci funzionan più per spezzar
poi tutto ciò con radicalità.


Questo testo, anche astratto dal contesto degli anni 70, riporta alla nostra posizione nella storia, correre, “guardare in viso” la realtà ed essere consapevoli che la storia avanza, insieme a noi, nella nostra quotidianità. Una storia, ed un cambiamento che ognuno porta nella storia agendo, cambiamento che però può essere ambivalente.
Mi si chiede di narrare un evento e una canzone. Ci arriverò all’evento, sono partito dalla canzone e dal fluire, il continuo, il correre che è legato e caratterizza la storia.
Al cambiamento noi qui oggi, come spesso, diamo un’accezione sottintesa positiva. Ma il cambiamento può anche essere regressione. Però noi questo non lo chiamiamo cambiamento, lo chiamiamo involuzione, e reazionari quanti spingono in questo senso.
E lo spirito con cui si affronta il mondo, la storia che corre insieme a noi, determina se andremo verso un progresso o una regressione. Al livello collettivo quanto individuale.
“Gioia e Rivoluzione” dicevano sempre gli Area in quel periodo. “Gioia e Riformismo” potremmo noi dire oggi.
Perché una rivoluzione se non è gioiosa non è cambiamento, come ci ammonisce David Grossman:
“E’ la disperazione il carburante che permette alle situazioni distorte di rimanere immutate a volte per anni, persino per generazioni. E’ la disperazione a impedire che un giorno le cose possano cambiare, che ci sia una redenzione. E la disperazione più profonda è quella nei confronti dell’uomo, ovvero nei confronti di ciò che questa situazione distorta rivela, in fin dei conti, di ognuno di noi.” (David Grossman, Con gli occhi del nemico - L’arte di scrivere nelle tenebre della guerra)

Una disperazione, una vita angusta che riprende quella della “Piccola favola” di Kafka:
"Ahi!" disse il topo, "il mondo diventa ogni giorno più angusto. Prima era così ampio che avevo paura, continuavo a correre ed ero felice di vedere finalmente a sinistra e a destra in lontananza delle pareti, ma queste lunghe pareti si corrono incontro l'un l'altra così rapidamente che io sono già nell'ultima stanza, e lì, nell'angolo, c'è la trappola nella quale cadrò". - "Devi solo cambiare la direzione della corsa", disse il gatto e lo mangiò.

Gioia e disperazione, progresso e regressione. Come ci poniamo di fronte agli eventi che accadono, che subiamo o che plasmiamo, poter cambiare il corso stesso degli eventi.

E poi il cambiamento, una realtà che non c’è più ed una che si è costituita, questo fenomeno “continuo” viene spesso simboleggiato da un evento, come avvenisse per discontinuità. Ma le “discontinuità” accadono a seguito di un processo di “accumulazione”. L’evento ne è icona e simbolo, ne è vessillo. Attenzione che però può anche a volte diventarne simulacro.

Il cambiamento arriva giorno dopo giorno, accumulando appunto differenze, con la costanza e la determinazione, con la fiducia che è propria della gioia.
Anche le “rivoluzioni scientifiche” avvengono con un lento processo di accumulazione di nuove osservazioni che si sentono strette, inopportune, nel paradigma dominante, finché un nuovo paradigma si manifesta. Ma è il processo di accumulazione che causa la “rivoluzione”.
Come quando scaldiamo lentamente un solido, che prende il nostro calore con costanza, ma ci appare uguale finché un “evento catastrofico”, una transizione di fase, non manifesta il cambiamento di stato e da un solido abbiamo un liquido. Un cambiamento improvviso. Un punto da segnare. Ma che non avremmo se non avessimo scaldato con costanza e regolarità.

Arrivo quindi a due punti, due eventi, che considero “emblematici” di come i cambiamenti avvengono e vengono percepiti, e dello sfasamento che spesso abbiamo tra identificazione di un simbolo di cambiamento e il cambiamento realmente avvenuto.

Il capodanno del 2002 segna la nascita dell’Euro come moneta unica di (quasi) tutta Europa. Un cambiamento che simboleggia l’unione, e soprattutto la Pace. Un progetto di mezzo secolo che si porta a compimento. Passato attraverso decenni di passaggi, di piccoli cambiamenti. E lo dimentichiamo spesso, perché scontato, oggi. La pace tra gli stati d’Europa, un cambiamento che segna (anzi che avrebbe dovuto segnare) l’abbattimento dei muri, delle nazioni che sono sinonimo di guerre e conflitti.
Un cambiamento che però può a volte essere l’inizio della fine. Un punto cui si è arrivati grazie alla gioia dei popoli e dei governanti. Pagare con la stessa moneta come il simbolo della costituzione di un vero stato sovranazionale, gli stati uniti d’Europa. Le vecchie nazioni che si facevano la guerra diventano un grande fulcro di ricchezza materiale e immateriale, industria e cultura, scambi commerciali e di idee. Popoli che si fondono, culture che si contaminano, società che si aprono, egoismi che si sciolgono. Uno stato che diventa forte perché pacifico, prospero, aperto, fecondo.
Mi guardate strabuzzando gli occhi, “che film ha visto questo qui?”. Ecco, una piega della storia che non è accaduta e che potremmo narrare come in un film di fantascienza segnando il capodanno del 2002 come l’inizio di un’epoca. Un evento per un cambiamento epocale. E’ quello che si diceva in quei giorni. Invece sembra, purtroppo, essere stato l’inizio della fine. Ma ancora la fine non la conosciamo. Siamo (come coscienza collettiva) ora in uno stato d’animo più vicino alla disperazione. Forse guardando ad una storia immaginata, riguardando questo film di fantascienza tratteggiato brevemente, che abbiamo sepolto lontano nella nostra memoria, possiamo correre nella storia con più “gioia” e forse quando tra dieci anni qualcuno mi, ci, richiederà un giorno di cambiamento, questo capodanno del 2002 sarà un giorno naturale. Il primo caffè pagato in euro ad un bar di piazza Sonnino.
Qualche mese prima di quell’evento però ne era accaduto un altro che aveva sicuramente scosso la nostra società, tant’è che ognuno di noi si ricorda cosa stava facendo in quel preciso momento, parlo dell’attacco alle torri gemelle. “Il mondo non sarà più come prima” si diceva in quei giorni. La consapevolezza della vulnerabilità di USA e occidente ha provocato però “disperazione” e rimozione. Ha provocato guerre, lo sappiamo e lo sentivamo. Ma anche qui, come in tutte le guerre, il prima e dopo è anche simbolico. Era una guerra che già c’era. Il cambiamento sarebbe potuto avvenire come una risposta positiva, da parte della società prima ancora che dei governi. Certo per noi, dalla pace dell’unione delle nazioni europee in pochi mesi si passò in un incubo. Un incubo che ha lacerato, che ha portato le nostre coscienze sulla difensiva.

Allora, per concludere, mi piacerebbe poter raccontare tra dieci anni di un giorno di cambiamento che ha simboleggiato una nuova epoca meno lacerata, un primo gennaio della pace, un nuovo 25 aprile, un nuovo 8 maggio, la fine delle tensioni nazionali pericolosamente riprese in seno all’Europa e specularmente in seno ad ogni società.
E ricordare così di quel primo caffè preso allo scoccare della mezzanotte di un tiepido capodanno romano, un gesto usuale che diventa un momento di rottura pagando con una nuova moneta che simboleggerà un giorno la vera unione tra i popoli che vivono in Europa e, lanciamoci ancor più in là, esempio per i popoli del mondo.
Un film di fantascienza, appunto, la cui realizzazione, se ci sarà, sarà di chi ha corso con “gioia” nella storia.

giovedì 7 luglio 2011

Cara vecchia carta



Ultimamente la carta ha perso fascino. Vanno per la maggiore infatti i siti di informazione solo online, dal giornalismo partecipativo di Agoravox al Post che unisce una redazione vera a propria alla raccolta di notizie dalla rete, i fenomeni di costume, movimenti politici e culturali sembrano non far ricorso più alla diffusione cartacea, ma si limitano spesso ad aprire solo un sito. Ultimamente, infine, sono sorte anche molte riviste scientifiche che hanno solamente la versione online.
Bene, in questo abbandono della carta, iMille, movimento politico online sorto nel 2007 che ora è diventato un blog-rivista di approfondimento, hanno deciso di raccogliere il meglio di questi primi sei mesi in un bel pdf scaricabile e (speriamo) stampabile, "il meglio de iMille".
Perché "online only" oltre a levare il piacere di una lettura tranquilla e approfondita, da farsi stravaccati sul divano o sul treno, a letto o al parco, liberi dal computer o da uno dei moderni tablet, portata all'estremo rischia anche di causare quella che si potrebbe chiamare "la fine della storia".
La storia infatti nasce con i documenti scritti, reperti millenari che testimoniano una data civilizzazione. Ora sfido chiunque a provare a leggere un documento elettronico di venti-trenta anni fa. I supporti fisici di stoccaggio dei dati non sono più compatibili, i dati stessi spesso si sono deteriorati (quanti vecchi floppy o cassette completamente smagnetizzati infestano le nostre case?) e i formati risultano quasi sconosciuti. Chi tra cento-duecento anni dovesse provare a scrivere la storia della nostra epoca si troverebbe davanti a una foresta di steli di rosetta.
E allora, controcorrente, iMille ritornano alla cara vecchia carta, costosa, antiquata, demodé, ma sempre leggibile anche quando i computer di oggi saranno obsoleti e inutilizzabili.

lunedì 6 giugno 2011

Changes

E' di oggi l'annuncio di Changes, la festa del cambiamento che si terrà dal 15 al 17 luglio ad Acquapendente, nella riserva naturale del Monte Rufeno (in provincia di Viterbo), dove sicuramente andrò.

E allora non può non venirmi in mente questo brano degli Area:
"guarda avanti non ci pensare/ la storia viaggia insieme a te"