domenica 20 novembre 2011

Ma qual è l'exit-strategy del PD?



Come molti stanno scrivendo e dicendo, il governo Monti potrebbe portare ad uno scombussolamento del panorama politico, a partire dai due partiti che ne sono gli interpreti principali: PD e PdL. Premessa necessaria è il successo del governo Monti. Se questo dovesse fallire (e con lui lo stato italiano, nel senso vero e tecnico del termine) il terremoto economico sarebbe tale che l'ultimo dei problemi sarebbe quello dei nuovi assetti dei partiti politici.

Ipotizziamo quindi un successo (anche solo parziale) del governo Monti. Questo avverrà passando attraverso misure economiche e sociali importanti. Non solo tasse ma anche rottura di privilegi e modifica di molte regole sociali, a partire da quelle sul lavoro, sugli ordini professionali, sulle pensioni. La mia impressione è che le misure che ogni forza politica e sociale cita, ognuna singolarmente, andranno (e mi auguro saranno) fatte tutte.

Allora il panorama cambierà molto, non solo lato PdL, su cui tanto si parla. La sua exit-strategy è secondo me abbastanza segnata: verso un'unità Alfano-Casini che ridisegnerà il centro-destra. Un progetto dal loro punto di vista coerente e omogeneo e che quindi può andare a buon fine. Ne avevo già parlato in tempi non sospetti. Ovviamente ci saranno una serie di variabili che possono farlo fallire: il rapporto con la Lega, l'ostilità di grandi pezzi del PdL, il ruolo di Fini etc ...

Meno si parla, anche se si sta iniziando a farlo, di come potrà essere ridisegnata la sinistra e il PD. Questo anche perché Bersani non ha subito iniziato a parlare di "spine da staccare" e ha, per il momento, contenuto i mal di pancia all'interno. Però le differenze verranno presto fuori e la strategia del "tenere chiuso il tappo" rischia di poter risultare controproducente quando la pressione sarà talmente grande che non si potrà più contenere. Venendo al sodo: come si comporterà il PD quando arriveranno le misure sulla riforma del mercato del lavoro? Come conterrà chi dice che la legge Gelmini "attacca il diritto allo studio" quando, ben presto, si finiranno i decreti attuativi e si dovranno attuare quei famosi criteri meritocratici per permettere di rendere reale il diritto allo studio per chi vuole studiare e lo fa con profitto e non per tutti indiscriminatamente (dando poi troppo poco a tutti)? Si ha l'impressione che l'exit-strategy a sinistra non si sia ancora delineata. Si sacrificheranno le posizioni di Fassina, benché "validate" dalla fantomatica assemblea di Genova sul lavoro del PD, sull'altare del governo? Probabilmente si, ma subendole o rilanciandole (famosa è la posizione opposta di Ichino che sembra stia risalendo nei consensi interni, anche se l'opposizione della CGIL resterà sicuramente maggioritaria)?
Il rischio evidente è che l'asse Alfano-Casini, se il PD continuerà a seguire il modello di un partito ancorato all'asse CGIL-SeL, riuscirà nel disegno di marginalizzazione della sinistra e della carica innovatrice contenuta nel progetto laico e democratico. Perché ricordiamo che se il centro-destra ha delle convergenze sicure in alcuni provvedimenti di questo governo, resta aperta la partita sul modello di società che si ha in mente. La destra resta su un modello "familista" e basato sulla "tradizione" (in molti campi). La sinistra dovrebbe farsi artefice di un modello liberale nel senso non solo economico ma soprattutto sociale. Se invece si ritira nel caro alveo assistenzialista farà poca strada e farà crescere poco il paese.

Trovare un'exit strategy è perciò fondamentale. Il governo può dare un'utile sponda a chi nel PD è nel lato "liberal-democratico" (un po' i miglioristi del 2000, mutatis mutandis), bisogna però coglierla e non farsi affossare dall'apparato e dal suo immobilismo e trasformismo inconcludente.

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