mercoledì 8 agosto 2007

Leva



Una piccola digressione agostana, con il blog de iMille quasi in ferie, riporto qui delle considerazioni che forse stavano meglio da quelle parti.
Bisogna parlare ogni tanto di argomenti che sembrano non riguardarci direttamente e personalmente, come per esempio la Leva e l’Esercito, o meglio dal modello di esercito che vogliamo, partendo, per quel che possibile, dalle nostre esperienze personali. Vista l’età media de iMille, molti di noi hanno dovuto scegliere tra servizio militare e civile, poi i più giovani sono stati esentati da ogni servizio, mentre i più attempati hanno vissuto il periodo in cui non si poteva scegliere, e chi era obiettore di coscienza se la passava veramente male. Faccio questa premessa perché, immagino, pochi di noi hanno fatto il CAR, io personalmente scelsi per il servizio civile da cui fui poi esonerato perché mi capitò di doverlo fare sotto il governo D’Alema quando non c’erano soldi per il servizio civile e quindi bastava entrare in uno dei criteri di esonero senza “amici” (nel mio caso “meriti scientifici” dovuti alla borsa di dottorato di ricerca del ministero dell’Università) e si era in esubero. Questo esubero era dovuto al fatto che c’erano moltissime più domande di servizio civile di quanti posti (ovvero soldi) fossero disponibili. La scelta del servizio civile, oltre ad essere un “sintomo di coscienza”, era soprattutto un’interessante mappatura sociale. Ovvero, normalmente domandavano il servizio civile giovani che avevano frequentato l’Università, provenienti da una famiglia di cultura medio-alta e abitanti nelle grandi città del centro-nord. Curiosamente questo profilo coincide con il profilo medio degli aderenti de iMille …
Ma i poveri del sud perché non volevano fare il servizio civile? Perché erano tutti militaristi? Certamente no, ma perché più semplicemente l’esercito era, è e sarà una speranza di occupazione sicura e morale (si perché almeno è legale e non bisogna accordarsi col boss locale) e l’anno di Leva il primo passo per entrarvi, spesso seguito dalla cosiddetta ferma. Ora non è più così, ora c’è l’esercito dei professionisti. Bene si dirà, lo Stato non obbliga più la popolazione a fare il servizio militare. Ma voglio essere provocatorio, è veramente un bene a lungo termine? In assoluto sì, ma questo deve essere accompagnato da una profonda revisione del concetto di difesa, esercito, uso delle armi. E la direzione presa in politica estera ed uso dell’esercito, sia dal centro-destra che dal centro-sinistra, non è compatibile con un esercito “di volontari”. Ma mi spiego meglio. Esercito di volontari, significa in realtà esercito di poveri e disperati, i figli delle classi benestanti sono ben contenti di non dover fare il militare (o comunque perdere un anno di studio-lavoro con il servizio civile) e sbandierano ai quattro venti quanto sia giusto e libertario che lo stato non obblighi i propri cittadini. Salvo costringere de facto i più poveri, che si identificano spesso con i giovani del Sud d’Italia, ad entrare nel “nuovo e moderno” esercito di professionisti. E se guardiamo quello che succede negli altri stati occidentali, vediamo che il trend è proprio questo. L’esercito USA, per necessità di sempre nuove reclute a causa della propria scellerata politica estera, oramai arruola chiunque, tanto che le gang criminali dei ghetti americani (altra faccia della medaglia del modello liberista americano) oramai si sono trasferiti a pie’ pari nell’esercito. E anche in Israele, i giovani delle nuove generazioni non sentono il motivato furore patriottico dei loro padri o fratelli maggiori.
Quindi esiste una profonda contraddizione, in Italia come in tutto il mondo occidentale dove l’esercito di leva non esiste più: in nome della libertà i più ricchi e coloro che possono sperare in un “lavoro normale” evitano la leva, mentre i più poveri (e anche i delinquenti) formano l’esercito, che è paradossalmente sempre più chiamato ad agire, a guerreggiare nel mondo.
Qual è la soluzione a tutto ciò? Non è certo una domanda dalla facile risposta. Nel doppio spirito “ideale e reale”, provo a suggerire due possibili modi di agire futuri:

1) Ideale: bisogna lavorare perché le questioni internazionali non si debbano risolvere più nel futuro con interventi militari, anche qualora questi si camuffino sotto il nome di “peacekeeping”. Non solo e non tanto perché il pacifismo è un valore assoluto, ma anche per una questione di giustizia sociale: un esercito di poveri che combatte a destra e sinistra nel mondo per preservare i diritti dei ricchi non è degno di una repubblica democratica.

2) Reale: proporrei che per poter prestare servizio militare volontario (il solo ora possibile) nell’Esercito Italiano o per essere arruolati in ogni forma nelle forze armate, si sia obbligati prima a prestare servizio civile presso un ospedale, un ente di assistenza a malati, invalidi etc … Perché se non vogliamo avere un esercito di popolo e non possiamo ottenere subito il pacifismo gandhiano in Italia e nel mondo, che almeno sia un esercito dove prima si impara il rispetto per il prossimo e poi la guerra.

4 commenti:

Macaronì ha detto...

Riccà,

vedo che tu metti nero su bianco cose che penso pure io.

Questa del servizio civile....

Filippo

Unknown ha detto...

Sarà che ormai non sono più giovane, checché ne dicano i media italiani, ma io ho cambiato idea di 180° su questo argomento: meglio l'esercito di leva che quello di professionisti. Per molti dei motivi che hai detto tu.

Riccardo ha detto...

Penso che stando oltre atlantico, dove presumo i fattacci americani ti arrivino più che sul vecchio continente, il ritorno ad un esercito di popolo ti sembri chiaramente meglio. E credo che in momenti come quello che vivono gli usa sia un ottimo anticorpo contro quel tipo di politiche. Ovviamente è proprio quello che non si vuole, e quindi, per esempio, si dice che la guerra è finita ... da 4 anni ormai mi pare ...

Unknown ha detto...

Appunto. E poi non sottovalutiamo il valore di amalgama di un'identità di popolo che è l'anno militare.