mercoledì 25 luglio 2012

Ottimismo fatalista



Il fatalismo è in genere associato ad un certo pessimismo, ad una visione del mondo in cui le proprie azioni nulla possono davanti al Fato. Davanti ad una tempesta che distrugge le proprie barche, davanti alla siccità che azzera i raccolti. E' un sentimento molto diffuso nella civiltà del mediterraneo.
In genere appunto si pensa al Fato come a qualcosa che peggiorerà inevitabilmente la nostra condizione. Quindi è inutile darsi troppo da fare per imporre la propria volontà, perché tanto arriverà qualcuno o qualcosa più grande di noi e disporrà a suo piacimento.

In questi giorni invece, tornando in Italia, quell'Italia scossa dalla crisi economica, sballottolata tra gli Scilla e Cariddi di Grecia e Spagna, ecco mi sembra di vedere che le persone (o almeno quelle che incontro) vivono in un ottimismo fatalista. Qualcuno le ha paragonate ai viaggiatori del Titanic, che ignari vanno verso il proprio destino al suono di un'orchestra di prima classe.
A me invece sembrano piuttosto adagiati nel proprio triclinio in attesa che il Fato che tutto aggiusta e tutto risolve in un nulla compia il suo lavoro. In attesa che come sempre in qualche modo, senza troppi sforzi e soprattutto senza "morti sul campo" (in senso figurato, si spera) passerà anche questa. E passerà senza dover licenziare dipendenti dello stato, senza perdere le tredicesime, senza ritrovarsi in una situazione di bancarotta non solo collettiva ma anche personale.

Eccolo, quindi il fatalismo ottimista, questo curioso protagonista di inizio millennio, che non è poi altro che l'altra faccia della stessa medaglia che fa sì che gli italiani non si sentano protagonisti del proprio destino, ma in balia di eventi più grandi e più importanti, in balia di qualcuno o qualcosa che, chissà perché, forse per il clima o forse per il cibo, alla fine li guarda con un occhio di riguardo, preservandoli da troppi drammi.

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