Mi è stato chiesto di illustrare le idee della mozione Marino su Università e Ricerca nell'incontro di Roma del 24 luglio. Ecco cosa ho detto.
Per parlare degli aspetti sull’Università e sulla Ricerca della mozione presentata l’altro ieri da Ignazio Marino, o meglio della sua visione del mondo, forse è bene cominciare dalle esperienze di noi ricercatori italiani, o meglio dai scampoli di esperienze che ciascuno di noi si è formato in questi anni.
Sempre, quando vado a congressi internazionali trovo nel mio campo, chimici e fisici teorici di ottimo livello, che lavorano sia in italia sia all’estero, dallo studente al capo di una grande equipe in odore di nobel. E questo è possibile, questa grande scuola che si propaga letteralmente in tutto il mondo, grazie ad un’ottima formazione di base, ad un’ottima scuola e palestra che abbiamo in italia alle spalle, nei licei e nelle Università, che ci allena sin dall’inizio degli studi, alla curiosità, all’indipendenza, alla responsabilità. Che ci fornisce basi solide concettuali necessarie. E vi assicuro che negli altri paesi non è sempre così.
Quando però interagisco con chimici, fisici, biologi sperimentali, che hanno bisogno di apparecchiature di punta e quindi costose perché siano all’avanguardia, per competere, come fanno a più buon mercato i teorici, con americani, inglesi, francesi, tedeschi, giapponesi, ecco che gli italiani scarseggiano. Perché le basi, le conoscenze non bastano per comprare un laser al femtosecondo e perché mancando le apparecchiature moderne anche gli insegnamenti sperimentali diventano meno importanti e perdiamo terreno anche come bacino che fornisce “mano d’opera” alle università straniere. Iniziamo quindi a perdere anche la capacità di stare al passo con i progressi tecnologici e non solo scientifici. Così in alcuni interi settori, con scuse legislative, e penso a tutte quelle ricerche legate alla fisica nucleare, o colpe legislative, e penso a tutte quelle ricerche, dirette o indirette, legate alla biologia moderna che fa uso di cellule staminali embrionali, o non esiste più nulla o quel poco sta scomparendo. Per fare un esempio preso ancora dalla mia esperienza personale, posso citare la chimica, la fisica , la biologia che sono legate a quelle tematiche di tossicologia nucleare che è un problema scientifico-accademico che diventa una questione sociale e di sanità pubblica. Mancando però il back-ground scientifico viene a mancare quella riflessione professionale necessaria per valutare con laicità – aggettivo che si deve usare a tutto campo sia nelle questioni etiche e mediche, come in quelle sociali, economiche, industriali, culturali – ogni singolo problema, viene a mancare quella cultura necessaria per giudicare i fatti e non gli slogan che si appiccicano ai fatti. E’ quella riflessione necessaria e che manca per trasportare nella vita quotidiana il lavoro accademico e di ricerca, che non è fine a se stesso ma che è politico a tanti livelli, culturale, morale, e in ultimo anche tecnologico e industriale.
E questo non è che un esempio.
Un esempio che ci dice però alcune cose, ci dice cosa è necessario per una ricerca scientifica di livello, ci dice come questa, e solo questa e non il navigare a vista voluto o dovuto che spesso si ha in Italia, abbia poi una vera ricaduta sulla società.
Ci dice che per una ricerca scientifica vera, seria, utile socialmente e culturalmente sono necessari fondi – come dicono dalle mie parti “c’est l’argent qui fait la guerre” – e qualità. Fondi e qualità. E i due devono necessariamente andare insieme, per un motivo di utilità ma soprattutto di giustizia. I fondi si devono poter stanziare ma si devono anche poter meritare. E per questo non esistono certamente sistemi infallibili, ma sistemi che funzionano meglio del sistema italiano attuale altrettanto certamente sì. Sono quei sistemi che basta passare le alpi per trovarli. Basati sui progetti di ricerca solidi, concreti, dettagliati, innovativi e coraggiosi, ma soprattutto valutati da esperti del settore internazionali, perché si possa, il più possibile, concordare la competenza di chi valuta i progetti con la sua indipendenza, ovvero estraneità al sistema. Si parla tanto di “conflitto di interessi” che blocca il pluralismo dell’informazione, che blocca l’economia. E’ lo stesso sistema che blocca la ricerca, interessi familiari e di blocchi di potere che decidono sui fondi e sui posti e che degradano il sistema universitario e di ricerca facendogli meritare anche la mancanza di fondi. Quando il rettore della più grande università italiana, e forse europea, si lamenta della mancanza dei fondi e chiede meritocrazia dovrebbe vergognarsi, e dovremmo dirgli noi di vergognarsi, perché da quel pulpito la predica non può certo venire, da chi ha nel suo dipartimento non solo il figlio, medico anch’egli ma anche la moglie, ex professoressa di materie umanistiche in un liceo, ora anch’essa docente in un dipartimento di medicina. Il nostro sistema è incancrenito e quindi solo appellandoci ad esperti il più possibile esterni al sistema possiamo cercare di risollevarlo. E tra questi un ruolo cardine deve essere assunto dall’Europa che sempre di più deve diventare, e sta già diventando, motore della ricerca nel continente. Dobbiamo incentivare questo processo, anche rendendo possibile l’integrazione maggiore delle azioni europee nel sistema italiano. Se il sistema si rende conto che per sopravvivere ha bisogno di soldi e che questi soldi vengono solo se il sistema se li merita allora l’apertura all’europa, l’apertura al mondo, ma anche l’apertura ai privati sarà possibile e non resterà carta o parole.
Possiamo così declinare il mondo della ricerca che abbiamo in mente, che non è utopia ma è il mondo che vediamo in Francia, Inghilterra, Germania, Stati Uniti, come un mondo con più fondi ma con controllo su questi fondi, un mondo basato sull’individuazione di centri di eccellenza e sulla valutazione costante di questi centri come di tutti i centri anche i più piccoli, dove ognuno avrà secondo i bisogni legati alle sue capacità. Un mondo dove è possibile costruire un’agenzia che gestisca i fondi e, magari attraverso un sistema tipo “tenure”, le assunzioni, rispondendo ai requisiti internazionali e responsabilizzando i ricercatori a posteriori sul lavoro svolto. Il sistema del concorso per ogni cosa sembra il più equo, ma è il meno aperto perché non lega ai risultati chi ha un dottorando o un post-doc e quindi non si assumerà chi sembra che potrà ottenere i migliori risultati ma il più fedele, o chi è più comodo o semplicemente il parente o l’amico. E’ così e lo sappiamo tutti. Facciamo un esercizio di autocritica e onestà intellettuale, rinunciamo alla possibilità di far parte noi di questo sistema perché tutti, noi compresi, possiamo beneficiare di un sistema aperto, un sistema che premi il coraggio nella ricerca, come coraggio ad aprire strade nuove, ma che sia sano e premi il merito e le competenze. Un sistema che sappia proteggere chi non ha amici, parenti o semplicemente chi non ha la volontà, o peggio la possibilità economica o sociale, di aspettare il proprio turno. Un sistema dove non esistano turni e code, ma possibilità, dove autonomia e mobilità – fondamentali per la ricerca di qualità – possono essere incentivati e possono portare i propri frutti solo se legati a disponibilità di fondi e qualità, ovvero valutazione sul merito e non sulle amicizie. Così avremo una ricerca più giusta e anche più libera.
Ecco concludo. In questa ultima parte del discorso, se non ve ne siete ancora accorti, ho declinato le cinque parole che Ignazio Marino ha messo nel suo programma come visione generale del partito e soprattutto della società, per mostrare come non sono cinque parole sterili ma cinque concetti che si possono concretizzare nei tanti campi per cui l’Italia ha bisogno di progresso e innovazione, insomma dove un partito veramente democratico può e deve portare il suo contributo. Le cinque parole o meglio i cinque concetti sono, ve le ricordo e così potete ritrovarle nelle righe precedenti: apertura, coraggio, merito, protezione e libertà.
domenica 26 luglio 2009
martedì 21 luglio 2009
Finito il tesseramento ...
Abbiamo (finalmente) finito il tesseramento anche qui a Parigi. Siamo arrivati a quota 92, raddoppiati in 15 giorni. Se non fosse stato fine luglio, con i parigini largamente in vacanza, saremmo arrivati a quota 100 sicuramente.
Sarà per la prossima volta.
Due parole su tesserarsi a Parigi la trovate sul blog de iMille.
Sarà per la prossima volta.
Due parole su tesserarsi a Parigi la trovate sul blog de iMille.
domenica 19 luglio 2009
Discorsi
Giocando con Wordle, ecco cosa ho detto ieri a Bruxelles
title="Wordle: Riccardo Spezia a Bruxelles"> src="http://www.wordle.net/thumb/wrdl/1005891/Riccardo_Spezia_a_Bruxelles"
alt="Wordle: Riccardo Spezia a Bruxelles"
style="padding:4px;border:1px solid #ddd">
questo invece al Lingotto
title="Wordle: Riccardo Spezia al Lingotto"> src="http://www.wordle.net/thumb/wrdl/1005895/Riccardo_Spezia_al_Lingotto"
alt="Wordle: Riccardo Spezia al Lingotto"
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title="Wordle: Riccardo Spezia a Bruxelles"> src="http://www.wordle.net/thumb/wrdl/1005891/Riccardo_Spezia_a_Bruxelles"
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questo invece al Lingotto
title="Wordle: Riccardo Spezia al Lingotto"> src="http://www.wordle.net/thumb/wrdl/1005895/Riccardo_Spezia_al_Lingotto"
alt="Wordle: Riccardo Spezia al Lingotto"
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mercoledì 15 luglio 2009
Il baluardo dello stato
Federico Aldrovandi e Gabriele Sandri da una parte, a rappresentare i cittadini, di diversa estrazione e sensibilità, dall’altra Spaccarotella, Florani, Pollastri, Pontani, Segatto, a rappresentare l’ordine dello stato. Volti che si annullano dietro l’indifferenza della divisa, mentre il sangue delle vittime vorrebbe farci ricordare il prezzo che si paga, che spesso si dimentica, che dimentica chi cerca sicurezza, chi cerca ordine, chi cerca disciplina. Chi vuole ricostruzioni fulminanti, decisioni ferme, piani quinquennali, gestione della finanza e dell’industria, cede parti della propria libertà e cittadinanza e la giustizia dello stato non può essere giustizia contro lo stato. Così gli omicidi sono colposi perché lo stato non ha volontà, è come Mefistofele, invocato per firmare un patto di sangue che non si può più cancellare.
Più di un secolo fa un lucido analista del suo tempo, un visionario degli anni che sarebbero venuti scriveva a proposito degli ufficiali dell’esercito, “preziosi servitori” dello Stato: “I borghesi tedeschi lo sanno e perciò sopportano patriottisticamente ogni specie d’offesa da parte loro perché vi riconoscono la loro stessa natura e soprattutto perché ritengono questi privilegiati mastini imperiali, che molto spessono li mordono per pura noia, il baluardo più saldo dello stato pangermanico”*.
Così unire la richiesta di ordine e sicurezza con l’indignazione per la vergogna dell’impunità sembra forse contraddittorio, ma non è forse molto di più che l’inevitabile conseguenza dell’accettare baluardi contro le proprie paure. Ma con la tanto sterile quanto giusta incredulità e ribellione per sentenze che sono la manifestazione della inevitabile falsità della giustizia dello stato sullo stato, non si ottiene molto più di qualche titolo su un giornale, qualche breve e inutile fiammata di emozione. Potrebbe un giorno mai invece diventare la tragica opportunità per fermarsi e riflettere sulla connessione che c’è tra il chiedere e l’applaudire missioni di pace che sono missioni di guerra, forze dell’ordine che vengono dirette contro il dissenso con quella crudeltà che trae forza dalla propria necessità, e l’essere al di sopra delle leggi?
Difensori dei cittadini dai fantasmi del caos, dell’ignoto, dello straniero che sono fuori dalla cittadinanza. Stato che è per come viene concepito, nazionalità, grate, barriere e bandiere, estraneo alla giustizia, nel momento stesso in cui, e soprattutto quando, si vuole portatore di giustizia.
*M.A.Bakunin, Stato e anarchia.
Più di un secolo fa un lucido analista del suo tempo, un visionario degli anni che sarebbero venuti scriveva a proposito degli ufficiali dell’esercito, “preziosi servitori” dello Stato: “I borghesi tedeschi lo sanno e perciò sopportano patriottisticamente ogni specie d’offesa da parte loro perché vi riconoscono la loro stessa natura e soprattutto perché ritengono questi privilegiati mastini imperiali, che molto spessono li mordono per pura noia, il baluardo più saldo dello stato pangermanico”*.
Così unire la richiesta di ordine e sicurezza con l’indignazione per la vergogna dell’impunità sembra forse contraddittorio, ma non è forse molto di più che l’inevitabile conseguenza dell’accettare baluardi contro le proprie paure. Ma con la tanto sterile quanto giusta incredulità e ribellione per sentenze che sono la manifestazione della inevitabile falsità della giustizia dello stato sullo stato, non si ottiene molto più di qualche titolo su un giornale, qualche breve e inutile fiammata di emozione. Potrebbe un giorno mai invece diventare la tragica opportunità per fermarsi e riflettere sulla connessione che c’è tra il chiedere e l’applaudire missioni di pace che sono missioni di guerra, forze dell’ordine che vengono dirette contro il dissenso con quella crudeltà che trae forza dalla propria necessità, e l’essere al di sopra delle leggi?
Difensori dei cittadini dai fantasmi del caos, dell’ignoto, dello straniero che sono fuori dalla cittadinanza. Stato che è per come viene concepito, nazionalità, grate, barriere e bandiere, estraneo alla giustizia, nel momento stesso in cui, e soprattutto quando, si vuole portatore di giustizia.
*M.A.Bakunin, Stato e anarchia.
martedì 14 luglio 2009
Sciopero
Come si direbbe, "solidarietà" allo sciopero anche dalla Francia. Il giorno della presa della Bastiglia ...
lunedì 13 luglio 2009
Il mazzo di carte
Come diceve Rabelais ieri c'era une femme folle à la messe, ma due vecchietti seduti
al bar hanno preso un mazzo di carte e si son messi a giocare come sempre.
Fatto buio uno ha detto "on fait un dernier calcul et après on s'en va", perché il belot è un gioco che necessita parecchi conti. C'è addirittura chi fa des bonnes de thèses sull'argomento.
al bar hanno preso un mazzo di carte e si son messi a giocare come sempre.
Fatto buio uno ha detto "on fait un dernier calcul et après on s'en va", perché il belot è un gioco che necessita parecchi conti. C'è addirittura chi fa des bonnes de thèses sull'argomento.
sabato 11 luglio 2009
Su un altro blog
Qualche parola sulle "questioni morali" le ho scritte per il blog de iMille. Quindi per non invadere questo blog di doppioni vi passo il link.
venerdì 10 luglio 2009
Due volte "chapeau!"
Su Agoravox si può trovare un'intervista a Ignazio Marino.
Da incorniciare due risposte su lavoro, università e immigrazione.
Lei parla spesso di cultura del merito. Cosa significa questo per l’università italiana?
«Significa una regola molto semplice: se si compete per una posizione, questa deve andare a chi è più preparato. Io in famiglia non ho né medici né professori universitari, ma negli Stati Uniti ho avuto l’opportunità di arrivare a dirigere il più grande centro trapianti del mondo. In Italia questo non sarebbe stato possibile, restando qui potevo ambire, senza baroni o raccomandazioni, a fare il medico di pronto soccorso in un ospedale di provincia. Un lavoro duro e importantissimo, ma il problema sono le opportunità. Sull’università sono molto drastico: nel 1980 una legge pessima ha di fatto dichiarato professori a vita, con un maxiconcorso, quindicimila docenti. A vita, come il Papa. Bene, io dico: mettiamo in un database la produzione scientifica di questi quindicimila docenti, e chi in questi quasi trent’anni ha prodotto zero lo mandiamo in pensione».
Immigrazione: che cosa ha da dire il centrosinistra? Alle volte balbetta, altre sembra rincorrere la Lega sul suo terreno.
"Guardi, oggi presenteremo il progetto di legge Bonino per regolarizzare un certo numero di immigrati che non sono stati regolarizzati nonostante le leggi degli ultimi anni. Ci vogliono regole chiare e rigorose, ma lo Stato deve fare la sua parte. Io ho fatto l’immigrato per diciotto anni in America, non mi è mai capitato di dover andare col sacco a pelo alle due di mattino davanti a un commissariato a prendere il numeretto, o a sgomitare per riuscire a riempire i documenti la mattina alle nove. Noi dobbiamo accogliere le persone con rigore, ma dare loro la dignità che spetta a ogni persona e se qualcuno ha un posto di lavoro deve essere aiutato nell’avere anche le carte in regola».
Da incorniciare due risposte su lavoro, università e immigrazione.
Lei parla spesso di cultura del merito. Cosa significa questo per l’università italiana?
«Significa una regola molto semplice: se si compete per una posizione, questa deve andare a chi è più preparato. Io in famiglia non ho né medici né professori universitari, ma negli Stati Uniti ho avuto l’opportunità di arrivare a dirigere il più grande centro trapianti del mondo. In Italia questo non sarebbe stato possibile, restando qui potevo ambire, senza baroni o raccomandazioni, a fare il medico di pronto soccorso in un ospedale di provincia. Un lavoro duro e importantissimo, ma il problema sono le opportunità. Sull’università sono molto drastico: nel 1980 una legge pessima ha di fatto dichiarato professori a vita, con un maxiconcorso, quindicimila docenti. A vita, come il Papa. Bene, io dico: mettiamo in un database la produzione scientifica di questi quindicimila docenti, e chi in questi quasi trent’anni ha prodotto zero lo mandiamo in pensione».
Immigrazione: che cosa ha da dire il centrosinistra? Alle volte balbetta, altre sembra rincorrere la Lega sul suo terreno.
"Guardi, oggi presenteremo il progetto di legge Bonino per regolarizzare un certo numero di immigrati che non sono stati regolarizzati nonostante le leggi degli ultimi anni. Ci vogliono regole chiare e rigorose, ma lo Stato deve fare la sua parte. Io ho fatto l’immigrato per diciotto anni in America, non mi è mai capitato di dover andare col sacco a pelo alle due di mattino davanti a un commissariato a prendere il numeretto, o a sgomitare per riuscire a riempire i documenti la mattina alle nove. Noi dobbiamo accogliere le persone con rigore, ma dare loro la dignità che spetta a ogni persona e se qualcuno ha un posto di lavoro deve essere aiutato nell’avere anche le carte in regola».
sabato 4 luglio 2009
Ai blocchi di partenza ....
Si aspetta solo il "pronti? via!" per una lunga marcia ... e ci vorrà del fegato!
giovedì 2 luglio 2009
Orgoglio democratico
In questi giorni vibranti, con nomi che si rincorrono, candidati che nicchiano, giornalisti a caccia di scoop, quello che si sente mancare (e che sente mancare molto Repubblica), è la presenza di un candidato che faccia risollevare un certo Orgoglio Democratico. Un candidato da portare nei circoli ma soprattutto nel paese a testa alta, che incarni lo spirito grazie al quale era nato il PD: apertura, ascolto, condivisione come metodo e identità per l'elaborazione politica, sociale e culturale.
Un candidato per cui si possano distribuire palloncini con il simbolo del PD, per cui i cittadini non abbiano vergogna (e ci pensavo l'altro giorno quando vedevo in piazza a Lodi i banchetti dell'italia di valori che non venivano blanditi come invece accade quando si fa volantinaggio per il PD o solo ve se ne parla).
Un candidato che metta al centro la modernità incarnata dal PD, ovvero quella di un partito fondato sulla partecipazione, che vuole andare oltre la democrazia vista come "presa di potere" di un gruppo sociale (o di potere semplicemente) che accoglie i favori popolari e che impone la sua visione del mondo, ma un partito che faccia della condivisione il proprio valore, la propria visione del mondo da cui scaturiscono poi le politiche "quotidiane". Un partito che pensi al lungo periodo e così facendo agisca anche nell'oggi, mettendo al centro della sua ragion d'essere i cittadini. Così le politiche economiche, ambientali, sociali, culturali, di sviluppo scaturiranno di conseguenza.
Questo non si esaurisce con un nome, ma serve un nome e una nuova classe dirigente che gli sia alle spalle, grazie ai quali poter ritornare ad essere fieri di essere democratici.
Un candidato per cui si possano distribuire palloncini con il simbolo del PD, per cui i cittadini non abbiano vergogna (e ci pensavo l'altro giorno quando vedevo in piazza a Lodi i banchetti dell'italia di valori che non venivano blanditi come invece accade quando si fa volantinaggio per il PD o solo ve se ne parla).
Un candidato che metta al centro la modernità incarnata dal PD, ovvero quella di un partito fondato sulla partecipazione, che vuole andare oltre la democrazia vista come "presa di potere" di un gruppo sociale (o di potere semplicemente) che accoglie i favori popolari e che impone la sua visione del mondo, ma un partito che faccia della condivisione il proprio valore, la propria visione del mondo da cui scaturiscono poi le politiche "quotidiane". Un partito che pensi al lungo periodo e così facendo agisca anche nell'oggi, mettendo al centro della sua ragion d'essere i cittadini. Così le politiche economiche, ambientali, sociali, culturali, di sviluppo scaturiranno di conseguenza.
Questo non si esaurisce con un nome, ma serve un nome e una nuova classe dirigente che gli sia alle spalle, grazie ai quali poter ritornare ad essere fieri di essere democratici.
mercoledì 1 luglio 2009
Autogol
"Franceschini? il più simpatico". D.S. (non come quel partito che non esiste più ma che fa comunque i suoi rendiconti finanziari) oggi ha colpito e fatto centro. Nella sua porta. E giustamente è già partito il fuoco di fila.
Il che apre l'autostrada per una possibile candidatura forte, innovativa nella visione del mondo.
Giorni e ore convulse. On verra.
Il che apre l'autostrada per una possibile candidatura forte, innovativa nella visione del mondo.
Giorni e ore convulse. On verra.
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