Da alcuni anni si aggira quello che definirei un mito "pseudo-liberista" nella galassia delle proposte che dovrebbero rendere efficiente, competitiva e aperto il mondo del lavoro e dell'Università: l'abolizione legale del titolo di studio.
Io credo sia un falso mito e soprattutto profondamente anti-democratico e anti-repubblicano. Cerco di spiegarmi.
Il concetto di "valore del titolo" lo intendo come certificazione da parte dello Stato (ovvero della collettività) delle capacità acquisite che vengono in un certo senso rese pubbliche e certificate. Se ne certifica quindi la qualità. Il problema attuale è più nel concetto di unico titolo (la Laurea) come caratterizzazione professionale e di studio. Questo andava bene nell'Università di pochi, mentre l'Università di massa, che è indubbiamente un passo avanti importante, ha bisogno di altri strumenti. Questi strumenti non devono però ledere le possibilità di tutti, indipendentemente dalla loro estrazione sociale e geografica.
Quello che sarebbe una riforma importante ma equa sarebbe la diversificazione dei titoli, ovvero definire le specificità. Mi spiego: una laure in Scienze Politiche è un titolo vago che racchiude in sé molte specificità. Questo dovrebbe superarsi da una parte con la differenziazione delle "lauree specialistiche" (e con il loro riconoscimento legale e sostanziale nelle differenze) presenti nella riforma 3/5/8, da un'altra con la valorizzazione e differenziazione di tutti i 3 livelli, cui si potrebbe aggiungere la galassia dei master. Sui master non ho molta esperienza diretta, ma credo che dovrebbero confluire a lungo termine nel 5, sviluppando poi i dottorati (l'8) anche in campi in cui ancora il dottorato non è molto diffuso.
Sugli effetti "dinamici" come vengono chiamati (ovvero il fatto che l'abolizione del titolo porterebbe competizione tra università) ho ancor più dubbi. Credo che un'azione importante dovrebbe essere quella di definire dei poli di eccellenza tematici su tutto il territorio nazionale che possano essere quasi unici nel dare certi diplomi. Questo perché altrimenti avremmo ancor più esaltato il fenomeno dell'impoverimento culturale del Sud, dove resterebbero solo quelli che vogliono fare "università facili" (come le chiama qualcuno).
Il mio sogno resta quello di vedere uno studente di Torino fuori sede a Palermo.
Se poi il problema resta quello dei concorsi pubblici, basta rendere specifici anche questi (per i campi di cultura elevata) per gli altri (tipo vigile urbano) si avranno sempre migliaia di domande, un sistema corrotto, e l'abolizione dei titoli non cambia nulla.
Concludo con un commento un po' duro: l'Università non è come una macelleria dove vado da quella che mi offre la carne migliore (se ho molti soldi) o da quella che mi offre il miglior rapporto qualità/prezzo. Devo avere ottime macellerie ovunque, e per questo è necessario che lo Stato (la collettività) operi per bilanciare le differenze esistenti (che sono enormi) ed evitare che se ne riproducano di future.
P.S. tutto questo si aggiunge alle considerazioni già fatte secondo le quali il titolo dato dallo stato protegge un poco chi non è amico/parente dalla discrezionalità assoluta ...
2 commenti:
scusate ma è una risposta ad una discussione nata sul wiki de iMille e proseguita dal vivo a Roma tra me, Ivan e altri. Quindi ci sono alcuni riferimenti oscuri per chi non sia già nella discussione nonché evidenti lacune.
Ciao Riccardo, arrivo parecchio in ritardo sul tuo blog ma, essendo tra quelli che discutevano con te, Ivan e Matteo a Roma, mi permetto di risponderti anche qui.
La certificazione con pubblico sigillo si presta alle storture di chi detiene il sigillo (Catanzaro docet) mentre la reputazione si crea e si distrugge giorno per giorno, orientando le scelte dei neodiplomati e di chi li assumerà.
Lo stato dovrebbe impegnarsi a garantire omogenee basi di partenza (elementari, medie) che prescindano dalla geografia, già con le superiori l'accentramento sui capoluoghi di provincia e i centri con popolazione analoga è obbligatorio e opportuno. Per l'università, raggiunta l'età dello spostamento possibile, bisognerebbe invece favorire lo spostamento (finanziamenti agevolati ai fuorisede) che si indirizzerà automaticamente laddove più interessa, per la qualità dell'insegnamento e per la rivendibilità del titolo conseguito.
Il mio sogno non è che un romano vada a studiare a Domodossola, è che i rettori siano responsabili dei risultati dell'ateneo (iscrizioni nette, pubblicazioni di ricerca, bilancio) e che i peggiori vengano annualmente rimossi dal ministero.
Per i concorsi pubblici la strada, in salita, è la medesima: responsabilizzare chi gestisce il concorso. Se si stanno selezionando dei profili elevati occorre che il selezionatore sia il responsabile del risultato del "reparto" in cui lavorerà il neoassunto (e ne paghi l'eventuale rendimento insufficiente). Se si stanno selezionando vigili urbani direi che la laurea non è un requisito (sul valore legale del diploma potrei anche rimanere conservatore), comunque anche qui la selezione la farei fare al capo dei vigili (palloncino compreso se ritiene) cui il sindaco chiederà conto dei risultati.
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