domenica 7 marzo 2010

Decretino

Come non ci si poteva non aspettare, il governo del “fare” ha fatto. Come capita sempre, il governo è tempestivo a fare le cose che lo riguardano da vicino, per il presidente del consiglio, o per le sue aziende, o per aiutare i suoi fedelissimi.

Che Berlusconi sarebbe intervenuto per soccorrere i suoi non penso fosse un mistero per nessuno, ci si domandava solo “come e quando”. Perché chi è “fedele al capo” non può mai essere abbandonato. Qualsiasi cosa faccia, troverà sempre un aiuto. Reati, leggerezze, evasioni fiscali. Questo vale per i suoi uomini e, per traslazione, per i suoi fans ed elettori. Il più grande messaggio elettorale, che passa in maniera subliminale ma non tanto, è : “chi sta con Silvio può fare quello che vuole”.

Sempre come al solito, la canizza mediatica ha confuso le acque e ha distorto la realtà. Unificando due situazioni molto diverse e riuscendo a ribaltare una loro incapacità in un attentato alla democrazia.
L’unico fattore unificatore tra le due situazioni, se vogliamo trovarlo, era la litigiosità della destra che in Lombardia ha chiuso il listino poche ore prima della scadenza e nel Lazio addirittura mezz’ora dopo la scadenza stessa. Ma si sa, le scadenze seccano a molti italiani e Silvio ha compiuto un doppio miracolo: passare da colpevole a vittima ed erigersi ancor più come difensore della “libertà all’italiana”, ovvero quella che mette avanti l’interesse particolare su quello collettivo. Avvelenando ancor di più la democrazia italiana che ,basata su questa “libertà prevaricatrice”, diventa sempre più la democrazia del potere. Diventa oggi anche la “legge del potere”.

Così le loro divisioni, e i motivi delle loro divisioni, sono passati in secondo piano. Divisioni i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti, poiché li portano a non essere in grado di governare il paese nei problemi quotidiani. E le polemiche, oggi sul “decreto salva-liste”, ieri sul lodo Alfano o sulla sentenza Mills (per cui si discute tra la minzoliniana assoluzione o la pedissequa e noiosa sottigliezza della prescrizione), sono il fumo che scientemente usano da molti anni per distogliere l’attenzione.

Hanno ieri dimostrato che il loro federalismo è un federalismo di facciata e di convenienza, in perfetta linea con il loro senso di politica. Utile quando serve a Bossi e Tremonti, inesistente quando è necessario sanare i loro errori locali. Così il governo nazionale si mobilita in forze (un ministro della difesa arriva addirittura a minacciare azioni irresponsabili) per “salvare” una regione e una provincia. In barba alle autonomie regionali. Così i governi regionali del PDL, se saranno loro, saranno federali finché serve, finché non intralciano.
Ci hanno detto, con le loro azioni, e hanno detto ai cittadini, che i loro governi regionali saranno autonomi, per esempio nella scelta dei siti nucleari, finché non arriverà il governo, e magari l’esercito, a decidere. E’ questa la visione della politica al tempo stesso centralista e localista della destra italiana. Si rispettano i cittadini solo quando sono d’accordo con il capo, altrimenti si interviene.

Per questo ora, i decreti sono fatti, la polpetta avvelenata ai magistrati è stata mandata (un ulteriore, anche se più nascosto, intervento del governo sulla magistratura) e le proteste sono doverose. Come è doveroso criticare tutti coloro che hanno contribuito a questo finale, irrispettoso delle regole, della democrazia e dei cittadini, perché lede l’indipendenza dei governi locali dal governo centrale.
Ma questo, per tornare all’inizio, lo sapevamo già. Come sappiamo già che Berlusconi e la destra italiana considerano la democrazia unicamente come mezzo per conseguire i propri interessi.
La “necessità e l’urgenza” di questo decreto è la tipica necessità e urgenza del governo Berlusconi: salvare se stesso e i suoi sodali. In questo tipo di interventi sono sempre compattissimi. Non altrettanto lo sono nel risollevare la società e l’economia italiana, non altrettanto lo sono nel rispondere ai colpi della crisi economica, alla chiusura e alla delocalizzazione delle fabbriche, alla perdita di qualità della produzione italiana, alla perdita della dignità del lavoro e quindi dei frutti del lavoro che sono alla base della ricchezza di tutta la nazione.

In queste tre settimane elettorali sarebbe utile usare questo “caso” per parlare dei decreti e delle azioni che non hanno fatto e che avrebbero avuto la possibilità e il tempo di fare, visto che quando è in ballo il loro interesse sono sempre rapidi ed efficaci. Meno quando si tratta di far uscire l’Italia dal pantano economico e culturale. Certo in questo pantano ce l’hanno portata loro ed è difficile che da loro arrivi una soluzione.

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