Per una volta che Walter Veltroni, per gli amici Uolter, dice una cosa di sinistra, "Dobbiamo riabituarci all'idea che la normalità è un contratto a tempo indeterminato.", non ha la maggioranza di voti al sondaggio di repubblica (16%). Ma forse è anche positivo, c'è ancora qualche voce fuori dal coro.
Aggiungo a questo proposito i nomi delle due liste che in Europa sosterranno Uolter come segretario del PD: "Democratici nel mondo per Veltroni" (dove vorrei far notare che Francesca è riuscita ad insersi tra due deputati in lista!) e "L’altra Italia con Veltroni", dove sono in una comoda 28a posizione. Gli elenchi li trovate qui .
mercoledì 26 settembre 2007
sabato 22 settembre 2007
Piccoli quiz crescono
"Se necessario, sia un nucleo forte di paesi a procedere per primo sulla strada che porta ad una vera e propria Unione politica. Una fase costituente dell’Europa politica per diventare global player, per uscire da una idea paternalistica di Europa per gli europei e giungere finalmente a un’Europa degli europei. Vogliamo scommettere fin d’ora sulla generazione figlia del programma Erasmus, estendendolo e potenziandolo fino ad arrivare a rendere normale per tutti un periodo di studio all’estero di almeno sei mesi."
Chi l'ha detto?
Chi l'ha detto?
venerdì 21 settembre 2007
Comunicazione di servizio per i Parigini
Domenica 23 Settembre
Vi aspettiamo, intorno a un bicchiere di vino, per contribuire con la propria firma alla presentazione della lista di vostra preferenza, in modo che questa possa concorrere alle Primarie del Partito Democratico. L'appuntamento è per domenica 23 settembre, dalle 17 alle 20, presso la sede ACLI, 28, rue Claude Tillier, 75012 Paris.
Questo e tante altre belle informazioni le trovate sul nuovo blog/sito della sezione francese del PD:
http://partitodemocraticofrancia.ilcannocchiale.it
Vi aspettiamo, intorno a un bicchiere di vino, per contribuire con la propria firma alla presentazione della lista di vostra preferenza, in modo che questa possa concorrere alle Primarie del Partito Democratico. L'appuntamento è per domenica 23 settembre, dalle 17 alle 20, presso la sede ACLI, 28, rue Claude Tillier, 75012 Paris.
Questo e tante altre belle informazioni le trovate sul nuovo blog/sito della sezione francese del PD:
http://partitodemocraticofrancia.ilcannocchiale.it
mercoledì 19 settembre 2007
La Società InCivile
Grilli, liste "non d'apparato", aperte alla famosa società civile .... ma chi certifica la civiltà? la voglia di entrare nella pappatoia? A me pare che molti pensino: "cosa hanno loro che io non ho? Perché i privilegi che loro hanno non posso pretenderli anche io?". E questo vale secondo me per grillini, marionici, millini e affini.
La mediocrità politica genera mostri.
Ha ragione Prodi quando dice che la società non è né più né meno civile dei propri politici. Quindi InCivile, una società incivile appunto. Quindi anziché volere a tutti i costi di entrare a pie' pari dentro, non sarebbe più "civile" cercare di fare in modo che chi spende tutto il proprio tempo nella politica, lo faccia in modo serio, programmato e trasparente? Questo come "programma zero", poi non ci dimentichiamo dei contenuti e soprattutto delle "linee ideali". Perché il cosiddetto "pragmatismo" della società civile non è certo carente di ideologie. Non c'è un solo modo di fare le cose, quando si sceglie di farle e come farle si compiono scelte ideologiche, che lo vogliamo oppure no.
La mediocrità politica genera mostri.
Ha ragione Prodi quando dice che la società non è né più né meno civile dei propri politici. Quindi InCivile, una società incivile appunto. Quindi anziché volere a tutti i costi di entrare a pie' pari dentro, non sarebbe più "civile" cercare di fare in modo che chi spende tutto il proprio tempo nella politica, lo faccia in modo serio, programmato e trasparente? Questo come "programma zero", poi non ci dimentichiamo dei contenuti e soprattutto delle "linee ideali". Perché il cosiddetto "pragmatismo" della società civile non è certo carente di ideologie. Non c'è un solo modo di fare le cose, quando si sceglie di farle e come farle si compiono scelte ideologiche, che lo vogliamo oppure no.
domenica 16 settembre 2007
martedì 11 settembre 2007
Però non se batte
Sto ascoltando il compagno Fausto su RaiTre che parla di precari e lavoro e sta stendendo quell'idiota di De Bortoli.
Fausto non si batte, comunque. Bisogna essere orgogliosi di avere un Presidente della Camera che dice certe cose. Peccato sempre che i progressisti abbiano perso nel 1994. Quando il resto della sinistra capirà che non si deve essere al servizio dei soldi ma delle persone sarà troppo tardi temo. Altro che perpetui, perpetue cazzate sull'economia liberista.
venerdì 7 settembre 2007
martedì 4 settembre 2007
Intervento Assembla de iMille
Ecco una versione scritta (ovvero una ripresa dei fogliacci che mi facevano tenere il filo) del breve intervento all'assemblea de iMille di sabato scorso.
Mi presento: lavoro in Francia al CNRS come ricercatore permanente ma non vi parlerò dei cosiddetti “Cervelli in fuga”, come farà qualcuno dopo di me e come ha giustamente sottolineato Marco, ma di un aspetto legato alla nuova mobilità di italiani, e non solo, in Europa, ovvero quello del sorgere di un nuovo concetto di democrazia in Europa. E vengo al punto. L’Europa ama definirsi come uno spazio di democrazia sia “autodefinendosi” come uno spazio democratico, sia nelle relazioni con il resto del mondo. In 50 anni (un tempo breve per la storia) grazie alla determinazione di chi credeva nell’ideale europeista, il vecchio continente è diventato uno spazio di pace e libertà, uno spazio economico e commerciale comune. Proprio questo spazio di libero scambio di merci e persone, questo spazio commerciale ed economico comune, è diventato anche uno spazio lavorativo comune. E quindi si ha un nuovo tipo di mobilità intra-europea “fluida”, non più statica, fissa, monodirezionale, ovvero non ci si muove più per la vita, ma è sempre più comune passare 10 anni in Inghilterra, poi magari 10 anni in Germania e 10 anni altrove. Per la cosiddetta “generazione Erasmus” l’Europa è il normale e naturale spazio lavorativo, è il “giardino di casa” dove ci si muove tranquillamente e facilmente, ancor più agevolati dall’espandersi dei trasporti “low cost”. Questo fenomeno di mobilità fluida pone un problema democratico importante. Noi “stranieri in Europa” siamo abituati al fatto che tutti gli amministratori della cosa pubblica siano espressione del voto diretto o indiretto dei cittadini dal consigliere circoscrizionale fino al presidente della Repubblica. Ma per gli “stranieri in Europa” non è così, poiché gli Europei hanno il diritto (per molti anche poco noto) di votare solamente per le elezioni municipali del paese di residenza (oltre ovviamente a poter votare per le liste locali al parlamento europeo scegliendo tra il paese di cui si ha la nazionalità e quello di residenza). Ma la cittadinanza piena, ovvero pieni diritti politici attivi e passivi, è ancora legata alla nazionalità. Questo poteva avere un senso quando la residenza in una nazione era quasi sempre per la vita. Ma in realtà lavorative dove la mobilità europea è sempre più all’ordine del giorno, questa rigidità è un vulnus alla democrazia nell’Europa moderna. Perché noi, “Europei stranieri” facciamo parte del corpo sociale, paghiamo le tasse e usufruiamo dei servizi, ma siamo estranei alle decisioni, contribuendo alla separazione e non agevolando un comune sentire europeo. Chiaramente contestare il legame nazionalità-diritto di voto intaccaa “la pancia” di molti, ma confido che l’abitudine crescente dei cittadini europei alla mobilità porta e porterà sempre più questa questione alla ribalta. E il reclamare il diritto democratico di voto legato alla residenza non è solo una questione “di sinistra” ma si richiama anche al vecchio “no taxation without representation”. E’ quindi una battaglia civile e democratica che dovrebbe unire la sinistra alla destra liberale. Purtroppo al momento, ad un mio personale appello hanno risposto, con modalità diverse, pochi soggetti: il presidente della Camera Fausto Bertinotti (che ringrazio), due deputati italiani eletti in Europa (Antonio Razzi di IdV e Arnold Cassola di Ulivo-Verdi), l’eurodeputato Giusto Catania di Rifondazione Comunista, i coordinamenti esteri di DS e IdV e la LCR francese.
Le soluzioni a questa mancanza di democrazia possono essere diverse, tutte applicabile se dietro si ha la volontà politica di farlo. Alcune possibilità sono:
- rendere snella e semplice l’acquisizione di una seconda nazionalità;
- creare una nazionalità europea sic et simpliciter (formale e sostanziale);
L’Italia può in questo compiere alcuni passi e in questo il PD si mostra aperto nella sua fase costituente, dove ammette come elettori attivi e passivi tutti i cittadini non italiani (europei ed extra-europei) regolarmente residenti in Italia. E come comitato costituente del PD di Parigi proponiamo di emendare il manifesto del PD aggiungendo in modo chiaro quanto segue: Crediamo nella necessità di progredire, insieme agli altri stati europei, verso una vera e propria cittadinanza europe. In particolare pensiamo alla necessità di trovare forme adeguate perché il cittadino di uno stato residente in altro stato della comunità possa partecipare, se lo desidera, a tutte le elezioni dello stato in cui risiede.
Ovviamente tutti i cittadini residenti, europei e non, dovrebbero godere i pieni diritti democratici nel territorio di residenza. Ma chiaramente i non comunitari (esclusi nordamericani e svizzeri) hanno tutti i vantaggi nell’acquisire la nazionalità italiana anche eventualmente perdendo quella di origine.
Il problema del diritto di voto e della doppia nazionalità in Europa è un aspetto lasciato ad accordi bilaterali (in assenza di un unico accordo multilaterale) come per molte questioni che riguardano la vita quotidiana di molti cittadini europei, come previdenza, assistenza, tasse. Un punto importante per un rilancio necessario tra i cittadini dell’Europa sarebbe proprio il superare la selva di accordi bilaterali su queste questioni per giungere ad una vera unità che non sia solo dei soldi e dei grandi gruppi industriali e finanziari.
Penso che il PD, il governo, l’Italia intera, possa e debba riprendere la sua leadership in Europa come vera europeista portando aventi queste istanze “alte” di giustizia e democrazia.
lunedì 3 settembre 2007
Un mito Pseudo Liberista
Da alcuni anni si aggira quello che definirei un mito "pseudo-liberista" nella galassia delle proposte che dovrebbero rendere efficiente, competitiva e aperto il mondo del lavoro e dell'Università: l'abolizione legale del titolo di studio.
Io credo sia un falso mito e soprattutto profondamente anti-democratico e anti-repubblicano. Cerco di spiegarmi.
Il concetto di "valore del titolo" lo intendo come certificazione da parte dello Stato (ovvero della collettività) delle capacità acquisite che vengono in un certo senso rese pubbliche e certificate. Se ne certifica quindi la qualità. Il problema attuale è più nel concetto di unico titolo (la Laurea) come caratterizzazione professionale e di studio. Questo andava bene nell'Università di pochi, mentre l'Università di massa, che è indubbiamente un passo avanti importante, ha bisogno di altri strumenti. Questi strumenti non devono però ledere le possibilità di tutti, indipendentemente dalla loro estrazione sociale e geografica.
Quello che sarebbe una riforma importante ma equa sarebbe la diversificazione dei titoli, ovvero definire le specificità. Mi spiego: una laure in Scienze Politiche è un titolo vago che racchiude in sé molte specificità. Questo dovrebbe superarsi da una parte con la differenziazione delle "lauree specialistiche" (e con il loro riconoscimento legale e sostanziale nelle differenze) presenti nella riforma 3/5/8, da un'altra con la valorizzazione e differenziazione di tutti i 3 livelli, cui si potrebbe aggiungere la galassia dei master. Sui master non ho molta esperienza diretta, ma credo che dovrebbero confluire a lungo termine nel 5, sviluppando poi i dottorati (l'8) anche in campi in cui ancora il dottorato non è molto diffuso.
Sugli effetti "dinamici" come vengono chiamati (ovvero il fatto che l'abolizione del titolo porterebbe competizione tra università) ho ancor più dubbi. Credo che un'azione importante dovrebbe essere quella di definire dei poli di eccellenza tematici su tutto il territorio nazionale che possano essere quasi unici nel dare certi diplomi. Questo perché altrimenti avremmo ancor più esaltato il fenomeno dell'impoverimento culturale del Sud, dove resterebbero solo quelli che vogliono fare "università facili" (come le chiama qualcuno).
Il mio sogno resta quello di vedere uno studente di Torino fuori sede a Palermo.
Se poi il problema resta quello dei concorsi pubblici, basta rendere specifici anche questi (per i campi di cultura elevata) per gli altri (tipo vigile urbano) si avranno sempre migliaia di domande, un sistema corrotto, e l'abolizione dei titoli non cambia nulla.
Concludo con un commento un po' duro: l'Università non è come una macelleria dove vado da quella che mi offre la carne migliore (se ho molti soldi) o da quella che mi offre il miglior rapporto qualità/prezzo. Devo avere ottime macellerie ovunque, e per questo è necessario che lo Stato (la collettività) operi per bilanciare le differenze esistenti (che sono enormi) ed evitare che se ne riproducano di future.
P.S. tutto questo si aggiunge alle considerazioni già fatte secondo le quali il titolo dato dallo stato protegge un poco chi non è amico/parente dalla discrezionalità assoluta ...
Io credo sia un falso mito e soprattutto profondamente anti-democratico e anti-repubblicano. Cerco di spiegarmi.
Il concetto di "valore del titolo" lo intendo come certificazione da parte dello Stato (ovvero della collettività) delle capacità acquisite che vengono in un certo senso rese pubbliche e certificate. Se ne certifica quindi la qualità. Il problema attuale è più nel concetto di unico titolo (la Laurea) come caratterizzazione professionale e di studio. Questo andava bene nell'Università di pochi, mentre l'Università di massa, che è indubbiamente un passo avanti importante, ha bisogno di altri strumenti. Questi strumenti non devono però ledere le possibilità di tutti, indipendentemente dalla loro estrazione sociale e geografica.
Quello che sarebbe una riforma importante ma equa sarebbe la diversificazione dei titoli, ovvero definire le specificità. Mi spiego: una laure in Scienze Politiche è un titolo vago che racchiude in sé molte specificità. Questo dovrebbe superarsi da una parte con la differenziazione delle "lauree specialistiche" (e con il loro riconoscimento legale e sostanziale nelle differenze) presenti nella riforma 3/5/8, da un'altra con la valorizzazione e differenziazione di tutti i 3 livelli, cui si potrebbe aggiungere la galassia dei master. Sui master non ho molta esperienza diretta, ma credo che dovrebbero confluire a lungo termine nel 5, sviluppando poi i dottorati (l'8) anche in campi in cui ancora il dottorato non è molto diffuso.
Sugli effetti "dinamici" come vengono chiamati (ovvero il fatto che l'abolizione del titolo porterebbe competizione tra università) ho ancor più dubbi. Credo che un'azione importante dovrebbe essere quella di definire dei poli di eccellenza tematici su tutto il territorio nazionale che possano essere quasi unici nel dare certi diplomi. Questo perché altrimenti avremmo ancor più esaltato il fenomeno dell'impoverimento culturale del Sud, dove resterebbero solo quelli che vogliono fare "università facili" (come le chiama qualcuno).
Il mio sogno resta quello di vedere uno studente di Torino fuori sede a Palermo.
Se poi il problema resta quello dei concorsi pubblici, basta rendere specifici anche questi (per i campi di cultura elevata) per gli altri (tipo vigile urbano) si avranno sempre migliaia di domande, un sistema corrotto, e l'abolizione dei titoli non cambia nulla.
Concludo con un commento un po' duro: l'Università non è come una macelleria dove vado da quella che mi offre la carne migliore (se ho molti soldi) o da quella che mi offre il miglior rapporto qualità/prezzo. Devo avere ottime macellerie ovunque, e per questo è necessario che lo Stato (la collettività) operi per bilanciare le differenze esistenti (che sono enormi) ed evitare che se ne riproducano di future.
P.S. tutto questo si aggiunge alle considerazioni già fatte secondo le quali il titolo dato dallo stato protegge un poco chi non è amico/parente dalla discrezionalità assoluta ...
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